Uncle Sam chiama: il potere americano al tempo del Covid

(di Gino Lanzara)
04/05/20

Novembre si avvicina, ed Uncle Sam si appresta alla chiamata del popolo americano che alcuni vogliono quale decisore, in un immaginario referendum, della fine del Trumpismo. Non saranno le elezioni più importanti: tutte le presidenziali USA lo sono state; per poterne avere un’idea è fondamentale astrarsi da non paragonabili visioni nazionali calandosi in un contesto spesso incomprensibile per degli europei, peraltro mai così lontani da qualsiasi idea di Unione.

L’America è (talvolta riottosamente) potenza egemone e talassocratica, e va immaginata, nel tempo, come un attore impegnato multidimensionalmente su più scene, con copioni sostanzialmente affini ma con testi differenti: più politically correct quelli obamiani, più grossolani quelli di Trump, interprete di un populismo che è stato stigmatizzato ma di cui, spesso, non sono state analizzate le ragioni, rifiutando di accettare il modo in cui The Donald, nel 2016, abbia incarnato la risposta più diretta ad una globalizzazione percepita come minacciosa; del resto, se si considerano le conseguenze della recessione del 2009, come non immaginare la possibilità di una resa dei conti prima interna e poi in un ambito internazionale post guerra fredda? Forse non è così irreale affermare che i nodi politici sono precedenti ad Obama, e che Trump è stato il continuatore, con altro stile, della strategia dello stesso Obama, consapevole dell’impossibilità di essere presenti ovunque in contesti, come quello del Medio Oriente, dove gli impegni non portano ad eguali benefici, ed ove il vuoto creato dall’assenza di leadership non perdona. La politica riporta in primo piano dottrine passate e forse non ancora finite.

Andrew Jackson, concettualizzando il Destino Manifesto spinse l’America verso ovest ed accese la scintilla del New Deal di F.D. Roosevelt e della New Frontier di JFK, un democratico definito in alcuni saggi come un inconsapevole conservatore realista e non sognatore nel contenimento sovietico iniziato da Truman; tutto ciò senza dimenticare la linea egemonica continentale di Monroe ampliata sia da  Theodor Roosevelt nel 1904 sia dalle interpretazioni estensive elaborate tra le due guerre del secolo scorso.

Come inquadrare gli attuali possibili interpreti? Realisticamente nazionalisti alla Jackson, oppure volti a nuovi interventi alla Truman con il suo Piano Marshall? Interventisti come JFK, Berliner autoacquisito ma pronto all’azione militare su Cuba, o disposti ad una multilateralità Obamiana che non ha tuttavia condotto a risultati tangibili in un contesto geopolitico connotato da globalizzazione, ricadute economiche ed inerzia del sistema istituzionalista?

Il giudizio di Germano Dottori1 è chiaro: le direttrici strategiche tra loro connesse sono 3: il contenimento della Cina, al centro degli attuali strali anche dello Stato del Missouri, per via della pandemia di Covid19 ed oggetto di iniziative riconducibili a guerra economica2 poiché percepita come il vero antagonista; il ridimensionamento dell’UE a trazione franco tedesca; il confronto con l’Islam, un piccolo fuoco acceso con l’appoggio alle Primavere Arabe, divenuto poi un rogo incontrollabile3; molte iniziative, pochi risultati.

Tanti fronti, tante parole chiave

Il cigno nero della pandemia ha portato alla luce lacune già evidenziate con l’esercitazione Crimson Contagion del 2019; il sistema federale ha mostrato discrasie tra un’azione su piano nazionale e le autonomie peculiari degli Stati: il Presidente, chiunque esso sia, ha un potere che, ancorché esteso, non può incidere su quello dei singoli Governatori che hanno agito sia mossi dall’estrazione politica, sia evidenziando il diverso sentimento esistente tra le diverse aree geografiche, tra Midwest, California e New York. In sintesi: Stato Federale ma poco sociale, supportato dall’acquisto di buoni del Tesoro da parte di Paesi esteri che, in dollari, sostengono l’economia di Washington prossima a nuovi quantitative easing.

In un momento recessivo più duro di quello del 1929, con forti difficoltà nell’assicurare la copertura sanitaria ed un’irrazionale corsa della cittadinanza ad armarsi, si sono aggiunti gli attriti con l’establishment militare con il caso della rimozione del Comandante della Roosevelt.

Dopo l’11 settembre, gli americani hanno scoperto, per la seconda volta, che il loro territorio nazionale può essere oggetto di attacchi, nonostante in molti abbiano (inco)scientemente ignorato i rischi del contagio come in Florida per le celebrazioni di primavera o a New Orleans per il martedì grasso, fino a giungere alle emergenze di California, New York e Washington. Insomma, quarantene attagliate alla natura politica degli Stati, attenti a garantire comunque la libertà di assembramento religioso e privi di un efficace coordinamento con il governo federale, come già accaduto con l’Obamacare.

Gli americani, per inclinazione culturale, intendono plasmare il loro destino, aspetto questo che potrebbe incidere sulla politica della prossima Amministrazione, necessariamente destinata a riaprire tutti i dossier sospesi, a cominciare dal JCPOA iraniano influenzato dall’eliminazione del generale Soleimani e possibile oggetto di una strategia tit for tat4, passando per il cortile di casa Venezuelano, penalizzato dall’attuale crisi del mercato petrolifero, toccando il Medio Oriente con il sostanziale fallimento dell’Accordo del Secolo tra Israeliani e Palestinesi ed il riconoscimento della sovranità ebraica sul Golan, fino a giungere alle coste del Pacifico, con un rimodellamento di alleanze finalizzate al contenimento dell’ascesa del Dragone.

Patria dei sondaggi, gli USA offrono quotidianamente panorami fluidi e mutevoli che, nelle tornate elettorali scorse, hanno però spesso fallito il pronostico, visto il dinamismo di situazioni fino all’ultimo condizionanti; al di là dei dati consolidati, e che riguardano l’incidenza della pandemia sui bassi redditi e sulle minoranze, la predittività delle tendenze elettorali continua ad essere inattendibile, anche se palesa aspetti interessanti. Il caos di quest'anno, incrementato da un folto parterre di candidati rapidi sia nel presentarsi che nel ritirarsi, potrebbe incidere permanentemente sul sistema elettorale dato che a novembre, forse, la maggioranza dell’Unione potrebbe votare per posta, non escludendo la possibile scomparsa, entro il 2024, dei caucus5, vista la debacle di quest’anno dell’Iowa.

Se è vero che per Trump, già toccato da Russiagate, Ukrainagate ed un Impeachment, la gestione della pandemia potrebbe trasformarsi in una mina vagante, è altrettanto vero che molti elettori Dem hanno posto forti riserve sull’età dell’ultrasettantenne concorrente Joe Biden. Nella terra dove tutto è New (Deal, Frontier), i Democratici non riescono ad esprimere una dirigenza che non sia gerontocratica con una media di 73 anni, a differenza dei 55 dei repubblicani; nota di colore bipartisan: il fattore generazionale ha affascinato anche Scorsese, che ha ambientato la sua ultima pellicola, the Irishman, in un reparto geriatrico.

Il partito Democratico, condizionato come quello Repubblicano da una campagna prevalentemente on line che si avvale di strumenti come il Trump Talk che mette in contatto gli attivisti con gli elettori, al momento, presenta una spaccatura tra una base trentenne ed un management settantenne, restio ad abbandonare le leve del potere; lo stesso Biden, vice di Obama, incassata la rinuncia del socialista Sanders, sta incontrando difficoltà nel bilanciare l’elettorato progressista, diviso tra più giovani, orientati alla socialdemocrazia, e più anziani, non così inclini a cambiamenti traumatici. Il rischio, per i democratici, potrebbe essere quello di trovarsi di fronte ad un cambio generazionale troppo marcato, non in grado di conservare la memoria storica del Paese, con un ulteriore sbilanciamento provocato dalla ricerca di consensi presso i white swinging voters, ovvero i bianchi indecisi, contro una insufficiente ricerca di appoggi presso l’elettorato di colore.

Cosa porta in eredità con sé Biden: la religione, una forte empatia, ed un’immancabile accusa di molestie sessuali? Biden, cattolico praticante come JFK, sarà costretto a dimostrare un’indipendenza politica e di giudizio verso il Vaticano, mediando su aspetti politico sociali delicati e potenzialmente contraddittori, come l’aborto e le unioni gay; non da ultimo, è stato chiamato a difendersi dalle accuse di molestie mossegli da un’ex collaboratrice che, curiosamente, a differenza di quanto accaduto contro il giudice Kavanaugh nominato da Trump nel 2018 alla Corte Suprema, non ha potuto godere dell’appoggio del movimento metoo.

Impossibile al momento pronosticare dati attendibili: mentre si presentano le variabili poco verificabili dei candidati indipendenti come l’ex repubblicano Justin Amash, il momento storico pone di fronte candidati che giocano su cambiamenti percentuali fluttuanti cui possono opporre il Keep America Great di Trump, o un’esperienza politica pluridecennale pro establishment come quella di Biden, con un elettorato ancora in larga parte indeciso, spaccato su istanze ritenute troppo radicali come quelle sostenute da Sanders, esigenze concrete come quelle della generazione Millennials, la più penalizzata, il voto delle minoranze etniche dei latinos e delle lobby più potenti, come quella ebraica, tradizionalmente democratica ed accusata di slealtà da Trump, e quella degli evangelici di destra, sensibili ad una politica estera polarizzata su Israele.

1 Professore presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss

2 Dazi

3 2012, assalto al Consolato USA di Bengasi ed omicidio dell’Ambasciatore USA Stevens

4 Efficace nella Teoria dei Giochi per risolvere il problema del dilemma del prigioniero ripetuto. La locuzione inglese ha il significato di ritorsione equivalente, ovvero di piccola ripercussione a fronte di una piccola provocazione.

5 Termine di origini indiane che indica le riunioni tenute dai dirigenti di un partito per indicare, in alcuni Stati, i candidati alla Presidenza. In altri Stati vige il sistema delle primarie.

Foto: The White House / Army National Guard / joebiden.com