Lo stato della nuova crisi delle armi chimiche in Siria sta nell’uso delle parole, in chi le pronuncia e a chi sono rivolte: “Non vi rendete conto fino a che livello di rischio state spingendo la situazione internazionale. Noi non vi chiediamo niente, noi non vogliamo essere vostri amici. Vogliamo solo delle relazioni civili, che voi disprezzate” è la dichiarazione dell’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vassily Nebezia, pronunciata a pro dei media e degli altri diplomatici, frasi che suonano diverse da quel “In quale situazione si troverebbe la Gran Bretagna se fosse attaccata da stati più forti in possesso delle più distruttive armi moderne?” scritto da Nikolaj Bulganin, primo ministro sovietico, ai leader occidentali all’indomani dell’attacco anglo-francese contro l’Egitto di Nasser nel 1956. Già, perché per adesso Vladmir Putin, da poco rieletto per il quarto mandato come presidente della Federazione Russa, ha parlato solo di “inammissibili provocazioni e speculazioni” in un colloquio telefonico con Angela Merkel1.
L’impressione è che Mosca non si opporrà, se non con dichiarazioni di facciata, a attacchi limitati come quello “voluto” quasi esattamente un anno fa alla base area di Shayrat2 e quello “per sbaglio” contro le forze siriane a Deir er-Zor, nel settembre 2016.
L’unica novità rispetto al passato sembra essere quanto accaduto, poche ore dopo il recente attacco con armi chimiche su Douma, di cui Washington e i media main stream ritengono responsabile Bashar el-Assad, presso Palmira, nella base T-4, delle forze siriane e degli alleati sciiti, allorché le difese siriane hanno intercettato prima che raggiungessero il loro target 5 su 8 missili, secondo Mosca sparati da aerei israeliani dal territorio libanese. Insomma, magari Damasco ha migliorato in modo significativo la propria capacità di difesa, anche se resta con dei cieli “colabrodo”. Rileva lo strano caso di una guerra in cui a Mosca preme solo di mantenere in piedi il regime amico degli alawyti in Siria, senza curarsi troppo delle “punture di spillo” che possano colpirlo, a partire dall’attivismo dei turchi al Nord per arrivare al Sud, spesso bersagliato dagli israeliani per esigenze strategiche.
Mosca, Istanbul e Teheran, parafrasando un proverbio americano, dormono nello stesso letto ma fanno sogni differenti. Pare scontato che anche questa volta Putin non alzerà il livello dello scontro, per ora solo verbale, con Washington: una o due bordate da parte degli americani e dei francesi contro l’alleato siriano rinsalderanno l’alleanza, confermando che senza la Russia il destino degli Assad in Siria è segnato.
Diverso è il caso, per ora improbabile, di un intervento occidentale più “serio” per target, durata e intensità: insomma, Trump ci stupirebbe non poco se cercasse di eliminare fisicamente Bashar come Reagan fece con Gheddafi o se chiedesse alla NATO di intervenire, come fatto nel caso della Libia. Ma nel 1986 Trump era un palazzinaro e nel 2011 uno showman (e un po’ lo è rimasto…) e a Washington governavano altri personaggi. Soprattutto, non risulta che Emmanuel Macron abbia ricevuto finanziamenti dalla Siria per le elezioni del 2017.
Così stando le cose, i media pregustano una settimana di fuochi d’artificio verbali e, in parte, missilistici, sui cieli del Medio Oriente. Poi, tra una decina tutti a pensare alle semifinali della Champions League, perché nessuno si ponga la domanda: “Ma quanto è stupido questo rais siriano, che usa le armi di distruzione di massa solo quando vince e non, come pare logico, quando stava per perdere tutto?”
1http://www.askanews.it/esteri/2018/04/09/siria-attacco-chimico-putin-den...
2 In tale occasione l’ex Chief Strategist della Casa Bianca Steve Bannon, va ricordato, si era opposto, perdendo così il confronto con l’altro “advisor”, il genero di Donald Trump, Jared Kushner: http://dailycaller.com/2017/04/07/bannon-lost-to-kushner-in-syria-strike....
(foto: SANA / Cremlino / U.S. DoD)