Che l'Occidente sia in crisi di identità è notizia conclamata. Si trova nel bel mezzo di un ciclo storico nel quale il mondo, al netto del perdurante strapotere americano destinato a declinare, non gli riconosce più la centralità che aveva un tempo.
In questo ineluttabile processo, la globalizzazione ha giocato il ruolo principale in quanto ha favorito un trasferimento di ricchezza da una parte all’altra del pianeta a danno delle classi medie occidentali, che per secoli avevano potuto godere, come mai nelle epoche precedenti, di una importante capacità di acquisto.
Se l’Occidente sembra aver perso la sfida, la Cina non solo risulta in netto vantaggio, ma la sola nazione in grado oggi di governare il processo globale in atto. L’Impero di mezzo ha dimostrato di essere maggiormente attrezzato per gestire questa fase, pur essendo, tra gli Stati, quello partito con più ritardo: negli anni 80 con l’apertura al mercato di Deng Xiaoping che intendeva così realizzare il “socialismo con caratteristiche cinesi”.
E se oggi sono ancora decine di milioni i cinesi che vivono in condizione di povertà, è pur vero che la loro classe media, che poi è il motore dello sviluppo, annovera oltre 200 milioni di persone in costante crescita.
Il confronto tra Occidente e Cina non va inteso solamente sul piano economico. I risultati in questo campo come in tanti altri sono solo il frutto di scelte fatte a monte da classi dirigenti illuminate.
È sulla “governance”, ossia sulla capacità di governare i profondi cambiamenti sociali ed economici del mondo attuale, che si gioca la sfida globale. È sull’abilità di operare scelte che produrranno risultati molto avanti nel tempo - anche oltre la durata del mandato dei decisori che le hanno adottate - che Pechino basa il proprio vantaggio competitivo sugli USA e sul resto dell’Occidente.
In questa sfida, tutta orientata a imprimere un radicale cambiamento dell’ordine mondiale vigente, la Cina intende giocare un ruolo di forte indirizzo, non solo per lo strapotere economico e il crescente peso geopolitico, ma anche in virtù di una ritrovata percezione di sé, a lungo sopita dal secolo delle umiliazioni subite dalle potenze occidentali.
A confronto, l’Occidente appare irretito e non in grado di governare i rapidi processi e le sfide del momento come dimostrano le tensioni sociali e il dilagare dei partiti populisti, apparendo inadeguato soprattutto nelle forme di organizzazione politica, aperte e democratiche, che si è dato.
Il mantra un uomo-un voto assieme al suffragio diretto e universale sono stati studiati per limitare il potere dello Stato a tutto vantaggio dell’iniziativa e della libertà d’azione dell’individuo propria dei sistemi liberali. In Occidente è l’individuo a prevalere sulla collettività e i doveri verso gli altri talora paiono limitati dai diritti del singolo.
È questa la “forma politica” che meglio consente lo sviluppo del libero mercato - liberismo economico, altro mantra occidentale - nel quale lo Stato deve intromettersi il meno possibile.
Come risultato abbiamo classi dirigenti che si susseguono repentinamente, con una visuale limitata dalla successiva tornata elettorale e una capacità di intervento fortemente condizionata dal consenso delle masse che le sostengono, che non sempre risultano dotate della necessaria “razionalità”, come d’altronde lo stesso Platone ebbe a commentare ne “La Repubblica”.
Tutto il contrario di quel che accade in Cina, dove si contrappone a una certa apertura in campo economico con importanti interventi statali, un forte accentramento dei processi decisionali, che aumenta con il procedere verso l’apice dell’organizzazione dello Stato e del Partito (PCC), due entità che tendono a sovrapporsi.
Un sistema basato su una combinazione di meritocrazia che si esprime nella scelta dei quadri e di centralismo democratico che garantisce la coerenza delle iniziative a tutti livelli con gli obiettivi fissati dal Partito.
Il sistema con cui Pechino gestisce l’intera nazione si articola su tre diversi livelli nei quali trova attuazione il processo di selezione dei quadri e quello di scelta dei provvedimenti economici, sociali e politici meritevoli di applicazione sull’intero territorio nazionale.
Inizia alla base della piramide, nei villaggi, con una democrazia diretta che viene esercitata, sotto la costante regia della sede locale del Partito, con la partecipazione di tutti i cittadini maggiorenni. È questa una forma di espressione democratica libera da condizionamenti che fa sempre registrare un’ampia partecipazione popolare.
Prosegue ad un livello più alto, nel quale si effettua una rigorosa selezione (per cooptazione e esami) dei quadri candidati a ricoprire posizioni apicali all’interno del Partito o nello Stato, che sono le due entità che condividono la gestione della cosa pubblica .
Tra i due livelli, ve n’è uno intermedio - nelle città, nelle province e nei distretti - dove si sperimentano quei provvedimenti sociali, amministrativi e economici, che se valutati positivamente saranno poi estesi al resto del territorio della Repubblica Popolare. Questa attività, rigidamente controllata dagli uffici più alti del Partito e dello Stato, crea ulteriori occasioni di valutazione per quei funzionari e dirigenti a vario titolo coinvolti.
In Cina la gestione del potere è costituzionalmente delegata al Partito del quale l’organizzazione politico amministrativa della Repubblica Popolare è l’univoca espressione.
Al PCC spetta la selezione degli uomini e delle donne migliori e l’accesso nella sua organizzazione, previa una dura selezione, è il primo passo per chi desidera dedicarsi alla cosa pubblica (gli iscritti sono circa 89milioni, a fronte di un miliardo e quattrocento milioni di cittadini).
Per entrarvi occorre frequentare una delle Università del Paese, il cui accesso prevede impegnative prove di sbarramento con milioni di aspiranti ogni anno per poche centinaia di migliaia di posti a disposizione.
Sono le università, soprattutto quelle di élite, il vero trampolino di lancio per chi intenda intraprendere una carriera pubblica, che sarà caratterizzata da ripetuti momenti di selezione, sotto forma di esami scritti e orali.
La scalata verso i posti di maggior responsabilità si sviluppa a partire dai villaggi per poi salire a livello delle città, delle contee, delle provincie, sino ad arrivare ai Ministeri.
Per occupare la posizione di vice ministro un quadro dovrà prima essere impiegato, per un minimo di tre anni ad incarico, come vice capo sezione, capo sezione, vice capo divisione, capo divisione, vice capo ufficio e capo ufficio.
Dopo circa venti anni di carriera, durante i quali il funzionario avrà ricoperto diverse posizioni di responsabilità non solo nelle articolazioni amministrative del Paese o del Partito, ma anche nelle industrie di Stato, nelle organizzazioni governative e nelle università, se valutato idoneo di proseguire nella carriera sarà inviato all’estero a studiare nelle migliori università.
Un processo lungo e impegnativo, non totalmente scevro da pratiche di nepotismo, da clientele e da corruzione, finalizzato però alla scelta dei migliori e dei più “attrezzati” per ricoprire cariche pubbliche, in coerenza con la millenaria traduzione confuciana che da più di un millennio prescrive la selezione per esami dei pubblici funzionari.
Il sistema non salva la Cina da condotte illecite da parte dei singoli - Xi Jinping ha avviato una grande campagna contro la corruzione -, ma risulta comunque in grado di assicurare una ottima qualità dei funzionari e dei dirigenti.
Ben si comprende allora come la sfida tra Cina e Occidente si giochi soprattutto sul tema della “governance”.
Da un lato classi dirigenti espressione di lobby politico finanziarie, aventi a costante riferimento il mantenimento del consenso in un quadro caratterizzato da una capacità di spesa pubblica in costante discesa.
Sono classi politiche che prediligeranno provvedimenti di corta durata, in linea con la volontà popolare del momento, raramente ispirate da una visione di lungo termine dettata dal bene della società e delle generazioni future. In esse la preparazione personale e le doti morali non sempre costituiscono una condizione necessaria per assurgere ai massimi livelli del sistema.
Dall’altro, un sistema provvisto di una enorme capacità di spesa pubblica e studiato per premiare le menti migliori dalle quali vien pretesa una capacità di gestione e pianificazione di lungo respiro, nell'ottica di una continuità di visione politico economica dettata dal Partito.
Un sistema, quello della Terra di Mezzo, in grado di elaborare progetti di lungo termine inserendoli addirittura nella Costituzione: come il “sogno cinese” di Xi Jinping e il progetto che meglio lo rappresenta - “la via della seta terrestre e marittima” - che promette di delineare le relazioni commerciali e mercantili di questo secolo e di quelli che verranno.
Bibliografia:
A.SELVATICI, La Cina e la nuova via della seta, Ed. Rubbettino 2018
D.BELL, The China Model, Princeton University Press, 2016
S, PIERANNI, Il nuovo sogno cinese, Manifestolibri, 2013
M. SCARPARI, Ritorno a Confucio, Il Mulino, 2015
(foto: People's Republic of China MoD / U.S. DoD / U.S. Navy)