Il 5 febbraio del 2019, il ministro dell'economia tedesca, Peter Altmeier, ha presentato quella che, nel nome e nelle prospettive, dovrebbe diventare la “Strategia Industriale Tedesca per il 2030” e nella quale sono fissati tutti gli obiettivi e le strategie che la Germania si prefigge di portare avanti in campo industriale entro il suddetto anno. Sebbene tale scopo programmatico risulti ambizioso, a ben guardare il documento in dettaglio, esso non può non sollevare diversi interrogativi.
I settori che, secondo Altmeier, devono essere fatti oggetto di una politica di investimento e modernizzazione ad ampio raggio sono: l'industria dell'acciaio, del rame e dell'alluminio; l'industria chimica; i macchinari e gli impianti; l'industria automobilistica; l'industria ottica; l'industria dei dispositivi medici; il settore delle “tecnologie verdi”; l'industria della difesa; l'industria aerospaziale; la produzione additiva (stampe 3D).
Si nota subito come, al di là di voler potenziare l'industria nel suo complesso, questo piano sia pesantemente sbilanciato verso l'industria pesante, il settore della difesa e tutti quelli ad essi collegati.
Secondo le parole di Altmeier, il piano strategico ha lo scopo dichiarato di far crescere il cosiddetto “valore aggiunto lordo” dell'industria in Germania al 25%, contro il 20% della media del resto dei paesi europei.
Allo stesso tempo, però, il piano segna un sostanziale abbandono da parte di Berlino del modello industriale delle “Mittelstand” che ha sostenuto la crescita industriale ed economica della Germania nel secondo dopoguerra. Infatti delle oltre 3.250.319 imprese censite in Germania, ben 3.249.818 (pari al 99,98%) ricadono nella categoria delle Mittelstand (piccole e medie imprese, in genere a conduzione famigliare) che producono il 68,31% dell'export della Germania, mentre le restanti 501 (pari allo 0,02%) sono grandi corporazioni (incluse quelle del “DAX 30”) che producono il restante 31,69%.
Con la strategia promossa da Altmeier, lo stato tedesco si appresta ora a varare un nuovo corso a favore delle grandi corporazioni, le quali hanno il proprio “core-business” in massima parte proprio tra i settori sopra elencati. Di particolare interesse è poi questo particolare risalto dato al settore della difesa. Berlino è stata più volte redarguita in sede NATO di non rispettare i patti e contribuire troppo poco al bilancio alla difesa comune dell'alleanza, nonostante in passato ne sia stata una delle maggiori beneficiarie. Di recente è stato lo stesso presidente americano Donald Trump ad affermare che “la promessa da parte della Germania di innalzare la percentuale del proprio PIL alla difesa all'1,5% dall'attuale 1,23% non è sufficiente, considerando che i membri dell'alleanza hanno preso l'impegno comune di innalzare la propria percentuale al 2%”.
Ciò che sembra sfuggire al presidente degli Stati Uniti però è che, avendo la Germania il PIL di maggiori dimensioni nel continente europeo, essa può permettersi di spendere percentuali minori rispetto al Regno Unito (2,1%) ed alla Francia (1,81%) ed ottenere, in cifre assolute, una spesa comparabile.
Per inciso, l'aumento del bilancio alla difesa tedesca previsto dalla “Strategia Industriale Tedesca per il 2030” è il maggiore dagli anni '30 del secolo scorso. Ops!
Foto: Bundeswehr