Iran: segnali di guerra dal Golfo

(di Vito Civitano)
03/06/19

Non sono stati messi a segno, nei due anni e mezzo di amministrazione Trump, interventi militari di una certa portata in aree geopolitiche come il Nord Corea, la Libia, lo Yemen o il Venezuela. In un certo senso anche la Siria, come tutti questi Paesi, più che essere obiettivo militare della politica a stelle strisce ha subito sia l’arma diplomatica come pure quella economica. È simile il caso dell’Iran, oggetto di pressioni fortissime. Negli ultimi tempi anche in Iran si assiste ad un incredibile cambio di marcia, dettato dal fallimento delle politiche volte al dialogo come pure all’utilizzo del “soft power”.

Con un’agenda politica dettata da un messaggio politico-religioso apocalittico, sempre in violento conflitto con lo Stato di Israele, a destare alcune preoccupazioni, in ambito internazionale, è stata proprio la nomina del generale Salami, a capo del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana. Classe 1960, proviene dalla venticinquesima divisione di Karbala, e dalla quattordicesima Hossein, università del Comando e dello Stato maggiore, con un background formativo sulla gestione della Difesa.

L’ideologia e la leadership iraniane restano fermamente convinte della necessità di distruggere fisicamente l’antagonista Israele, come sostenuto a più riprese dall’ayatollah Khamenei, anche nel momento cruciale in cui l’amministrazione Trump ha ripreso le sanzioni. Si tratta di un ritorno al confronto previsto e prevedibile: si pensi ad esempio che l’Italia, secondo fonti di stampa, non acquistava più petrolio già, da 5 mesi dall’Iran, proprio seguendo l’ipotesi sanzioni.

Che cosa vuole l'America dall’Iran? Due cose: la fine dei test sui missili balistici a lungo raggio e dei test sullo sviluppo atomico delle tecnologie dual use avanzate. Le sanzioni sono state utilizzate dall’amministrazione Trump come arma a doppio taglio, volte da una parte a colpire il greggio iraniano ma anche come deterrente per le nazioni in asse con il paese, soprattutto paesi come la Cina, principale partner commerciale iraniano.

Da molte fonti è data per certa l’ipotesi che l’Iran sia intenzionato ad utilizzare tutte le sue fonti petrolifere per rifornire i Cinesi, dando dunque priorità al mercato di Pechino, irrobustendo il proprio asse col Celeste impero. Ed è stato proprio questo asse l’obiettivo politico ed economico da colpire per l’amministrazione Trump, soprattutto nello specifico, circa importazione delle risorse energetiche iraniane. L’obiettivo, dunque, è duplice: rallentare l’espansione del paese Asiatico, toccando anche la bilancia commerciale cinese. La Cina, infatti, importa dall’Iran il 10 per del proprio fabbisogno energetico.

L’Iran tuttavia, proprio con l’ elezione del nuovo comandante delle Guardie Rivoluzionarie, come già accennato, apre una nuova porta alla reazione dell’asse israelo-americano, proprio nel momento in cui le sanzioni sono state ritirate fuori, e lo fa con la questione dello Stretto di Hormuz, strategico per gli approvvigionamenti cinesi.

È suonato proprio come una prima minaccia di guerra, tra l’altro, il paventato utilizzo delle truppe di terra “pronte ad infliggere ai nemici danni devastanti” (generale Salami). Ciò potrebbe fare da innesco a un conflitto di dimensioni regionali che coinvolgerebbe, a diverso titolo, anche Iraq, Arabia saudita, Libano e Siria.

Il fatto di poter utilizzare il teatro siriano per poter attaccare Israele è il grande vantaggio e la vera novità perché l’Iran ha sempre dovuto fare i conti con una distanza di 3500 km tra i propri confini ed Israele. Adesso, invece, si trova a diretto contatto tramite la presenza iraniana in Siria. In realtà un’azione militare da parte iraniana c’è stata proprio quando un’unità Iraniana dal territorio siriano ha lanciato un missile nel territorio di Israele. Questo nonostante ci sia un accordo che prevede che gli israeliani stiano a 35 km dal confine israeliano e che questa distanza sia presidiata dai Russi. È facile ipotizzare che Mosca abbia lascito campo libero agli iraniani, almeno in questa occasione.

Attualmente l’Iran è divisa in due gruppi, i laici e i religiosi, l’attuale presidente Rouhani non è certo un moderato: è anche lui un integralista sciita e vede nell’unione fra Stato e religione la via per la redenzione dell’umanità. Ha raccolto alleati anche al di fuori dell’Iran, soprattutto in quei paesi sunniti, Qatar e Turchia, che vedono, come sunniti, l’unione fra Islam e Stato come unico rimedio alla decadenza moderna.

Foto: U.S. Navy / IRNA