Trump tradisce i Curdi e da il via all’attacco turco in Siria

(di David Rossi)
07/10/19

“L’Europa non vuole indietro i suoi foreign fighter ISIS che sono un costo per gli Stati Uniti… I Curdi hanno combattuto per noi e noi li abbiamo pagati con denaro e equipaggiamenti per farlo”.

Stamani il presidente americano Donald Trump si deve essere svegliato col piede sbagliato: infatti, il suo sproloquio via Twitter per giustificare l’abbandono dei Curdi al loro destino di fronte a un sempre più probabile attacco turco pare proprio scritta coi piedi e nemmeno con quelli giusti. L’inquilino della Casa Bianca, dicono le cronache, è andato contro i suoi consiglieri prendendo questa decisione da solo. Questo apre un doppio scenario di crisi: uno squisitamente interno all’amministrazione Trump, col prevedibile e ormai abituale strascico di dimissioni di collaboratori umiliati; dall’altra parte, rimangono i Curdi, col moccolo in mano, ma non solo loro.

Israele si ritrova con l’unico soggetto regionale non ostile, l’entità curda appunto, alla mercé degli ex amici turchi, la cui crescente avversione verso lo Stato ebraico non è più nemmeno nascosta. Per giunta, anche se tra due vecchie volpi come Assad e Erdogan non corre buon sangue, un indebolimento dell’Amministrazione Autonoma curda nella Siria Nord-Orientale fa il gioco di Damasco, interessata a riguadagnare il controllo di almeno una parte di quei territori e soprattutto dei campi petroliferi a Est dell’Eufrate, soprattutto attorno alla città di Deir el-Zor. Se Rojava, la federazione delle province curde in Siria, dovesse capitolare, Gerusalemme sarebbe davvero molto più sola e soprattutto incapace di usarne, anche solo ufficiosamente, il territorio in caso di un futuro conflitto con l’Iran.

Lo stesso regime di Bashar el-Assad deve fare i conti con l’ennesimo colpo di coda di Ankara, che prima ho sponsorizzato gruppi islamisti, poi ha occupato una porzione di territorio siriano.

I Curdi, come i Siriani fedeli a Damasco, hanno compiuto uno sforzo immane negli ultimi otto anni e non paiono in condizioni di nuocersi a vicenda. Anzi, il petrolio curdo deve passare per forza dalla Siria per raggiungere il porti del Mediterraneo. Viceversa, la Turchia è un avversario ostico, che ha dimostrato già a Cipro di non lasciare mai con le buone i territori occupati con la forza. Insomma, dal territorio siriano i Turchi non se ne andranno mai.

Che dire, poi, dell’asse sciita, a cui Washington, scientemente ha gettato tra le ruote l’amico-nemico turco? Più i carri armati di Ankara si spingeranno a Sud, Trump sembra pensare, più sarà spezzata l’unità della mezza luna sciita, tra Libano e Iran. Certo è che la Porta non è ostile a Teheran per principio e come gli Iraniani non vede di buon occhio l’Arabia saudita. Ma questi sono dettagli, per il presidente sovranista: nella sostanza, quanto più il pugnale ottomano affonderà nella Siria tanto più l’Iran dovrà chiedere il permesso per agire nella regione. Questo però accadrà, paradossalmente, a spese di un amico di Israele. Senza dubbio, a Teheran si apprezza, comunque, il vantaggio tattico: il Kurdistan siriano, così, cessa di essere un piede d’appoggia per Israele a danno proprio della teocrazia al potere a Teheran e un richiamo in meno per l’autonomismo curdo, anche nell’ex Persia.

La Russia approva e giustifica. Il rapporto privilegiato di Putin con Erdogan si conferma. Con la novità che Trump si unisce per formare un fronte inedito.

La NATO… Beh, qui la storia è più complessa. Il “tradimento” dei Curdi è troppo clamoroso per essere ignorato e la semplice richiesta di una soluzione negoziata non pare sufficiente a caratterizzare una posizione politica forte.

Si sa per certo che né Parigi né Londra, i principali partner di Washington in Europa, non sono state nemmeno informate, men che meno consultate.

Non ci chiediamo nemmeno se “Giuseppi” sia stato avvertito…

C’è da domandarsi semmai, ma solo ad uso interno italiano, se Di Battista, ancora ai box, commenterà la posizione del ministro degli esteri Di Maio, quando questi la esprimerà. Tutto qui, guardate come siamo ridotti!

Di certo, il fatto che la Commissione europea non sia ancora nel pieno dei propri poteri non aiuta. Però, questo comportamento di Washington, se possibile, mette ancora più in crisi l’alleanza tra l’Europa e il Nord America nella difesa di uno status quo approvato da entrambi, anzi fa pensare proprio che non ci sia proprio più una visione di insieme.

I think tank del Vecchio continente avranno di che riflettere: se un domani, poniamo, la Slovacchia, la Lituania o qualche potenza un po’ più consistente demograficamente e militarmente decidesse di modificare in modo unilaterale i confini in Europa, abbiamo proprio la certezza che gli Americani… interverranno?

Restano, non confessati, i dubbi delle Forze armate turche: per Rojava non combattono né i brutali macellai dell’ISIS né i montanari armati del PKK, ma forze che da quasi due lustri ricevono istruzioni e mezzi da mezzo Occidente e consiglieri militari anche da Israele.

Sarà davvero una passeggiata? Oppure Washington ha dato il disco verde al Viet Nam della Turchia?

Ci fermiamo proprio con quest’ultimo dubbio…

Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri / SANA / The White House