È un dato di fatto che dai colloqui di pace inaugurati a Bouznika, in Marocco, tra i rappresentanti di Tripoli e quelli di Tobruk, chi possa subirne danno sia – tra i protagonisti libici del conflitto – solo il maresciallo di Libia Khalifa Haftar.
Reduce dalle pesanti sconfitte militari subite in Tripolitania, che hanno portato prima alla rottura dell’assedio di Tripoli e poi all’arrivo dei turco-tripolini a pochi chilometri da al-Jufra e Sirte, dunque a minacciare direttamente l’integrità della “mezzaluna petrolifera”, Haftar è l’esponente politico-militare libico più ostile alla tregua negoziata tra il primo ministro del GNA Fayez al-Sarraj ed il presidente della Camera dei rappresentanti stanziata a Tobruk Aguila Saleh Issa.
Il portavoce delle Forze Armate governative Muhammad Gununu ha infatti denunciato lo spostamento di mezzi e truppe haftariane nell’area di al-Jufra e la violazione del cessate-il-fuoco vigente per ben cinque volte nel corso delle ultime ore.
Appare evidente che gli haftariani si stiano riorganizzando ma anche che, ad oggi, rappresentino un gruppo distinto rispetto alle autorità cirenaiche. Probabile che l’obiettivo di Haftar sia quello di “trincerarsi” nell’area compresa tra la base di al-Jufra e Sirte che insieme costituiscono una linea di difesa difficilmente espugnabile a meno che non venga conquistato uno dei due punti. Haftar manterrebbe il suo “potenziale di ricatto” nei confronti delle istituzioni civili di Tobruk e degli attori internazionali interessati al conflitto libico solo tenendo lontane dalla Cirenaica le forze turco-tripoline.
L’abbattimento – ancora da verificare – di un Mig-29 russo (fotogramma) potrebbe anche essere stato il frutto della volontà di Haftar di disarticolare i negoziati, interrompere la tregua e riaprire le ostilità. Ogni ipotesi sul tavolo potrebbe essere reale, sta di fatto che l’episodio in sé rappresenta un fattore destabilizzante.
Tra i principali sponsor di Haftar c’erano fino a poco tempo fa molti dei capitribù della Cirenaica, sostenitori dell’autonomia della regione e legati all’Egitto sia dal punto di vista etnico che da quello politico. Parlare al passato è d’obbligo poiché gli abboccamenti tra Sarraj e Saleh sembrano aver aperto alle tribù la possibilità di mantenere alcune specifiche prerogative, “ereditate” dal passato regime o conquistate proprio a seguito della guerra civile, senza eccessivi sforzi. Al contrario, continuare a sostenere Haftar equivarrebbe ad accollarsi un impegno sostanziale anche dal punto di vista militare e ad accollarsi una battaglia ormai divenuta “personale” del maresciallo e sicuramente perdente.
La perdita del sostegno tribale spinge ancor di più Haftar verso la difesa ad oltranza delle posizioni odierne poiché diventa ancor più importante la politica petrolifera che ne scaturisce: gruppi armati fedeli ad Haftar tengono ancora sotto controllo importanti impianti d’estrazione e raffinazione di petrolio in Cirenaica, sia nell’entroterra che lungo la fascia costiera. Nel porto di Ras Lanuf, città sede di importanti raffinerie, staziona una nave da guerra ed i magazzini dello scalo sono utilizzati anche per lo stoccaggio di munizioni ed armamenti.
La “militarizzazione” delle vie del petrolio libiche è un’arma a doppio taglio nelle mani di Haftar poiché da una parte garantisce la sua agibilità politica e dall’altra lo espone al rischio speculare d’isolarsi visti i danni economici derivati dal blocco della produzione petrolifera. La holding statale libica National Oil Company (NOC) ha stimato perdite intorno ai 9,6 miliardi di dollari a causa del blocco della produzione e dell’occupazione degli impianti da parte di milizie che, nel corso del conflitto, si sono specializzate proprio in questo tipo di operazioni e che fanno capo al maresciallo Haftar.
La situazione politica (prima ancora che militare) nella quale Haftar si trova non è delle migliori ma resta un elemento pericoloso ed in grado di sabotare un processo di pace che, ormai è risaputo, si regge sul filo del rasoio.
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