Ritorna all’attenzione la buona vecchia quarta sponda libica; le UN, con il tentativo di rimediare ai tragici errori del 2011, hanno aperto la via ad un governo di unità nazionale a tempo a cui è stato conferito il mandato di consentire regolari elezioni entro il prossimo dicembre. Un’iniziativa che pone un ulteriore suggello alle Primavere Arabe ed alle loro motivazioni, a rivolte che non hanno rappresentato una novità in una regione già attraversata da sommosse a carattere socio-economico; nel 2011 le proteste si sono mutate in rivolte incomplete, debellate o dalla restaurazione o dalla mutazione in guerra civile.
Una più attenta valutazione geopolitica suggerisce di non sottovalutare gli elementi di instabilità ancora presenti e potenzialmente ancora capaci di diffondersi. I punti critici mediorientali sono strutturali tanto da dover riandare, per ritrovarli in nuce, alla politica clientelare di Nasser, un modello poi diffuso secondo differenti modalità in tutta l’area MENA (Middle East and North Africa, ndr).
La deflagrazione del sistema nasseriano ha prodotto risultati differenti a seconda dei casi, tanto da determinare in Libia, Yemen e Siria, protratte ed indeterminate guerre civili agevolate dal ripiegamento americano, ed in Bahrain ed Iraq profondi conflitti settari, fino a giungere al 2019-2020, con l’insorgenza di nuovi dissensi di carattere sociale ed economico, che hanno portato Algeria e Sudan a difficili processi di transizione, ed in Libano ad un aggravamento del contesto politico generale; tutti quadri caratterizzati dall’incapacità di sopire le proteste anche da parte di stati rentier, seppur beneficiati dalle entrate petrolifere utili al mantenimento di un’apparente pace sociale. A questo si è aggiunto l’ulteriore elemento pandemico, che ha accentuato le disuguaglianze esistenti; un’arma a doppio taglio, che se da un lato ha permesso l’inasprimento delle misure di contenimento, dall’altro ha privato la base sociale dei suoi spazi di rappresentanza e di sfogo.
Gli equilibri rimangono fluidi, con un sistema internazionale estremamente mobile, e dove le immature inconsapevolezze di attori geopolitici ignari dell’abc di governo e provetti in quello della più pura demagogia, hanno inflitto ai loro stessi interessi colpi durissimi.
Le Libie, ad insaputa italiana, hanno costituito il punto di incontro e bilanciamento del caos geopolitico regionale, di tutte quelle spinte vettoriali che hanno determinato la nascita del governo di unità nazionale, con il tandem costituito da Abdel Hamid al-Dubayba, laureatosi in ingegneria in Canada, e Mohammed al-Menfi (nella foto a sx), rispettivamente nuovi primo ministro e presidente, forti della fiducia concessa dal parlamento di Tobruk, a dieci anni dall’inizio della guerra che portò al rovesciamento di Muammar Gheddafi.
Guardiamo alla Libia come ad un catalizzatore; a fronte dell’intervento turco, anche la Grecia ha inteso attribuire una dimensione libica alla controversia con Ankara per il controllo del Mediterraneo orientale, con azioni analoghe compiute da Israele, Egitto, Francia ed Iran, che non ha mancato di offrire sostegno a Haftar in chiave antiturca. Di fatto, il teatro libico ha ospitato gli attriti determinati dal contenimento dell’influenza turca che, va detto, pur non potendo coniugare il suo ambizioso Mavi Vatan1 per effetto di una crisi economica devastante, ha comunque ottenuto dallo stesso Dubayba appoggio all’accordo marittimo firmato tra GNA ed Ankara nel novembre 2019, da mantenere in vigore perché ritenuto nell’interesse libico; un’approvazione che si aggiunge a quella di Mohamed al-Menfi, sostenitore, quando era ambasciatore in Grecia, dell’accordo stesso tanto che, per questo, fu espulso dal Paese nel dicembre 2019.
Il neo governo libico, dove il primo ministro regge ad interim il dicastero della Difesa e l’incarico di capo di stato maggiore è ancora vacante, che dovrà provvedere alla stesura di una nuova legge elettorale, ad una nuova Costituzione, alla variazione delle procedure che sovrintendono alla gestione della NOC2 così come al consiglio di amministrazione della banca centrale nonché alla riorganizzazione delle FA, rappresenta dunque l’elemento che sussume le dinamiche politiche che hanno portato alle negoziazioni turco greche, al riavvicinamento tra sauditi-emiratini con il Qatar, agli approcci tra Turchia, Israele ed Arabia Saudita, nonché alla tregua tra Ankara ed il Cairo, che non esclude tuttavia la competizione in altri contesti3.
Sullo sfondo Washington intanto riprende le distanze con Mosca, che deve fasarsi sull’intendimento americano che vuole contenerla nel Mediterraneo, grazie sia ad un’indiretta opera politico-diplomatica che mira a rendere meno appetibili le alleanze con il Cremlino, sia grazie alla più grande esercitazione militare in Europa dai tempi della Guerra Fredda, la Defender Europe 2021, che con l’allargamento all’Africa settentrionale pone un limite allo spazio a disposizione di Erdogan e Putin.
Dubayba (foto), nel discorso al Parlamento di Tobruk, ha ammesso il latente stato di guerra, peraltro agevolato dalla particolare conformazione sociale libica, che rimane frammentata in tribù e non in partiti politici4; chi nasce in Libia è prima di tutto un elemento della sua tribù, e solo dopo un cittadino libico, secondo il principio per cui ogni tribù5 ha una sua area d’influenza in accordo con le tre grandi regioni di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.
La Libia non è divisa politicamente o geograficamente, ma socialmente, cosa che rende il lavoro del governo di Dabayba particolarmente difficile, data anche la cerniera difensiva in cemento armato che, realizzata dalla Compagnia Wagner e dalle milizie sudanesi Ğanğawīd, taglia la Libia tra Sirte e al-Ğufra, un simbolo della divisione tra la Tripolitania turca e la Cirenaica russa, un simbolo che sta a testimoniare sia l’impossibilità di escludere a priori l’azione militare, sia la necessità di considerare Sirte, luogo simbolo gheddafiano e della fine del Califfato, quale chiave di volta geopolitica: se è vero che il nuovo governo offre un’immagine internazionalmente spendibile, militarmente non presenta forza sufficiente per modificare gli assetti, aspetto evidenziato dalle difficoltà palesate nell’imporre il ritiro di contractor e mercenari stranieri6.
Le nomine dei rappresentanti governativi, per cui si è tenuto conto della provenienza geografica e si è costruito, a la Cencelli, di fatto un meccanismo di spartizione delle principali cariche politico economiche, pur premiando la Cirenaica, non rispecchiano i reali rapporti di forza; Mohamed Yunus al-Menfi proviene sì dalla Cirenaica, ma rimane politicamente distante dal generale Haftar; in più sia le forze facenti capo ad Aguila Saleh7 e Haftar sono state di fatto estromesse dalla rappresentanza governativa, sia le milizie tripoline non mostrano di curare legami affidabili con un premier che porta in dote simpatie turche e sospetti incrociati di corruzione emersi tra i 75 delegati del Forum di dialogo politico libico8.
Affarista a capo della società di costruzioni Libyan Investment and Development Company, nonché presidente della squadra di calcio Al Ittihad, Dubayba, pur privo di una linea ideologica, ha occupato posizioni di rilievo sotto il regime di Mu’ammar Gheddafi. Il rilancio economico rimarrà ovviamente vincolato alla situazione securitaria ed alla credibilità della prossima legge di bilancio, sotto gli auspici di un incremento del PIL vincolato, negli ultimi anni, alla dipendenza dall'attività petrolifera. Dopo un periodo di flessione, la BAD9 per la Libia quest’anno prevede una crescita sensibile, dato non sfuggito alla economicamente sofferente Tunisia, il cui Presidente Kaïs Saïed, il giorno stesso dell’insediamento di Dubayba si è recato a Tripoli.
Ma ci si può fidare del nuovo governo?
Le sue dimensioni sono maggiori di quanto fosse stato annunciato, e lo stesso premier, che ha reso più difficoltosi i rapporti con la stampa, ha dovuto ammettere di aver dovuto cedere a criteri di rappresentatività geografica e di non aver mai incontrato alcuni dei suoi 26 ministri. Due le donne alla guida di dicasteri: esteri, con Najla el-Mangoush (foto) vissuta a lungo negli USA, e giustizia, con Halima Abdulrahman.
Gli altri... In rappresentanza di Cirenaica (est) e Fezzan (sud), due vicepremier affiancheranno Dubayba. Hussein Atiya Al-Qatrani, vice ministro, della tribù Awaqir (Bengasi), contiguo ad Aguila Saleh, è stato scelto al posto di Saqr Bujwari, sindaco di Bengasi, vicino al generale Khalifa Haftar. Al Qatrani era un alto funzionario del ministero delle Finanze del regime di Muammar Gheddafi. Ramadan Ahmed Boujenah Al-Hasnawi, vice primo ministro rappresentante del Fezzan, della tribù Hasawna di Tamzawa Al Shati. Sostenitore di Haftar, attivo contro la rivoluzione del 2011, è un ex funzionario del regime di Gheddafi. A guidare il ministero del Petrolio e del Gas sarà Mohamed Ahmed Mohamed Aoun, rappresentante della Tripolitania, e conosciuto negli ambienti italiani per essere CEO di Mellitah Oil and Gas Company10 dal 2008 al 2011 e membro del CDA della società Green Stream Bv, responsabile del trasporto di gas naturale dalla costa libica alla costa italiana a Gela.
Una novità è l’introduzione dei ministri senza portafoglio, tra cui si evidenzia Ajdid Maatuq Jadid, della tribù Warfalla fedele a Gheddafi, ministro per le migrazioni ed oppositore delle politiche UE circa il ritorno dei migranti in Libia. Anche all’economia un alto funzionario del passato regime, Muhammad al Hawij della Tripolitania, così come all’interno, con il numero due di Bashagha, Khaled al Tijani Mazen, ex colonnello dell’Agenzia per la sicurezza interna durante l’ultimo periodo di Gheddafi. Alla sanità Ali Muhammad Miftah Al-Zinati, della Cirenaica, atteso alla sfida della pandemia, ed alle finanze Khaled Al Mabrouk, del Fezzan, e titolare di un CV di tutto rispetto11.
All’istruzione l’ingegnere Musa Muhammad al Maqrif, alla Pianificazione Fakher Boufarna Al Fakhri, coordinatore del programma universitari tra Bengasi e l’Università Bocconi, nonché fondatore della Borsa libica.
Menzione speciale (sic!) per il ministro per la comunicazione e gli affari politici, Walid Ammar Al Lafi, collaboratore di Abdel Hakim Belhaj, miliziano islamista ed ex emiro del Gruppo islamico libico combattente. Vicino ai Fratelli Musulmani libici, nel 2020 è apparso da Istanbul come responsabile del canale “Salam”. Diversi gli elementi da considerare; innanzi tutto la presenza di elementi provenienti dal vecchio regime fa tornare in mente l’applicazione di una sorta di amnistia di stampo togliattiano che, stante la situazione, ha inteso preservare le capacità esistenti; a ciò si aggiunge un pericoloso elemento di discontinuità decisamente troppo vicino alla galassia jihadista, ed il ricorso neo gheddafiano alla distribuzione di benefici e prebende utili ad assicurarsi l’indispensabile fedeltà. Del resto, la fallimentare esperienza americana in Iraq con l’azzeramento di ogni capace ganglio burocratico, qualcosa dovrebbe aver pure insegnato, in termini di successiva e violenta insorgenza, peraltro qui ancora pulsante, date le presenze jihadiste, ed il ruolo del generale Haftar, in condizione di isolamento politico dalla mancata conquista di Tripoli, ma già da ora in attrito con Dubayba.
Il 6 aprile il pdc Draghi si recherà in Libia. Cosa attendersi? Se le mosse di ENI, da sempre dotata di una sua efficace diplomazia degli affari, seguono il solco della tradizione, quelle della Farnesina sembrano andare in controtendenza rispetto a quanto visto negli ultimi anni, anche se in versione multilaterale insieme con Francia e Germania. Lotta all’immigrazione, progetti di ricostruzione, sostegno istituzionale e possibile impiego della missione Irini per monitorare il cessate il fuoco. Saremo fuori moda. Transeat. Ci ostiniamo a considerare il passato come fonte inesauribile di insegnamento; e per questo non possiamo guardare ad un rinnovato attivismo senza considerare il fatto che, alla base della querelle libica ci sono delle responsabilità italiane, di esecutivi che hanno permesso che, nella propria area di influenza, si introducessero attori esterni sempre più pervasivi.
L’Italia, attenta alle beghe di poveri cortili interni, ha cancellato colpevolmente qualsiasi attenzione al teatro libico mentre la rediviva Farnesina dimenticava che in politica gli spazi vuoti vengono immantinente riempiti. Da altri.
Presa da euforie pechinesi (foto), l’Italia si è fatta ammaliare da concettualizzazioni superficiali, e non ha considerato che il suo Mediterraneo Allargato parte dalle coste prospicienti quelle nazionali. Pensare all’Oceano Indiano è giusto ed a la page, se ci fosse un ENI alle leve di governo, altrimenti, come è accaduto, rimane un vuoto esercizio dialettico.
L’ammiraglio de Giorgi jr ha sagacemente osservato che i turchi hanno avuto impunemente accesso alla Libia perché non c’è stata alcuna opposizione da parte di uno strumento militare che, sicuramente più dotato di quello anatolico, deve però ottemperare alle indicazioni strategico politiche governative, disponendo peraltro della maggiore e più strategica isola mediterranea, la Sicilia, spesso usata (termine orrendo) da altri.
Bene la visita italiana, bene il ravvivato interesse, ma qual è la linea geopolitica di ampio respiro che dovrebbe essere sottesa?
È indubbio che ci vogliano coraggio, protagonismo e non spicciola improvvisazione, cose in cui negli ultimi anni l’Italia sembra aver difettato da un lato ed ecceduto dall’altro. È necessario sapere ciò che si vuole, individuare gli interlocutori, avere il coraggio di essere pronti ad impiegare la forza quando gli interessi sono minacciati.
È indispensabile avere presente la massima di Talleyrand attribuita anche a Fouché: “rimanere inerti..è peggio di un crimine, è un errore”. Buon viaggio presidente!
1 Patria Azzurra, espansione marittima
2 National Oil Corporation
3 Sudan, Mar Rosso, questione del Nilo, Corno d’Africa
4 Secondo Stratfor, centro studi USA, le formazioni sociali libiche sono ben 140. Secondo altri il numero delle tribù libiche, che solo formalmente sono sotto la stessa bandiera, arriva addirittura a qualche migliaio.
5 Durante i 41 anni di governo di Gheddafi la sua tribù, Gadhafi, fu la più influente ed anche la più odiata; La Gadhafi è storicamente alleata alle altre due tribù più importanti: Warfallah e Magariha. A Tripoli ci sono anche le tribù Bani-Walid e Tarhuna. La tribù Zentan risiede vicino al confine tunisino ed è quella che più ha contribuito all’esercito di Gheddafi. In Cirenaica domina la tribù Zuwaya perché controlla le aree strategiche dove sono basati pozzi e depositi di petrolio. La tribu al-Awaqir è quella che ha combattuto più di tutte le altre il colonialismo ottomano e italiano. Nel Fezzan si trova la Magariha. Dal punto di vista italiano la tribù più rilevante è quella Tuareg che vive soprattutto sul confine con l’Algeria, vicino al deposito di gas naturale di Waha che rifornisce anche l’Italia e vicino al campo petrolifero Elephant compartecipato da ENI.
6 Gli USA hanno chiesto l'immediato ritiro delle forze russe e turche dalla Libia. La richiesta è stata avanzata dal capo della missione americana alle NU, Richard Mills jr., dopo che il termine per la loro partenza, previsto dall’accordo di Onu di ottobre e scaduto il 23 gennaio, è stato disatteso.
7 Presidente del Parlamento di Tobruk che con Fathi Bashagha rimane un riferimento politico di primo piano
8 Il clan Dubayba è finito al centro di polemiche dopo che familiari e staff di Ali Ibrahim Dubayba, magnate libico oggetto di indagini in Scozia per frode, avrebbero offerto 200 mila dollari a due delegati del Foro di dialogo politico libico in cambio dei loro voti a favore Abdulhamid Dubayba.
9 Bank of African Development
10 società operativa compartecipata da Eni e Noc
11 ha conseguito una laurea in economia presso l’Università di Bengasi nel 1992 e ha lavorato come responsabile della Facoltà di Economia di Sebha, titolare di un dottorato nel 2008 presso l’Università del Queensland in Australia. E’ stato manager dell’istituto di credito libico Jumhouria Bank.
Foto: presidenza del consiglio dei ministri / anadolu agency / web