Crisi Nato-Russia: molto rumore per nulla

(di Gino Lanzara)
21/10/21

Politica ed interessi continuano a correre senza curarsi delle pandemie; è il caso della rottura delle relazioni tra NATO e Russia, un evento che avrebbe spiazzato lo stesso Dottor Stranamore, dato che alla base di ogni liaison, specialmente se tumultuosa, c’è comunque un inizio fatto di corteggiamenti e avance.

L'accusa è grave: ad otto diplomatici viene imputato di essere agenti dell'intelligence non dichiarati; all'origine della decisione ci sarebbero rivelazioni sul presunto coinvolgimento russo, risalente al 2014, nell’esplosione di un deposito munizioni nella città di Vrbetice1 che causò due morti. Come in ogni relazione, che ciascuno dei partner abbia da recriminare sembra sia evidente, visto che, peraltro, è dall’estate 2019 che non sono state più indette riunioni del NRC date le mancate partecipazioni del Cremlino che ha invece protestato per le numerose esercitazioni che l’Alleanza ha svolto nei pressi del confine russo, notazioni peraltro specularmente riprese dal SG NATO Stoltenberg che ha invocato attenzioni particolari atte ad evitare malintesi ed incidenti2.

Difficile, as usual, comprendere chi possa avere più o meno ragione, anche alla luce di un rapporto NATO del dicembre 2020, in cui la Russia veniva identificata come la “principale minaccia militare” fino al 2030, cosa che ha indotto la NATO stessa a puntare ad un rafforzamento della sua capacità di contenere la Russia.

Dall’altro lato, Mosca, che come Washington deve affrontare pesanti problemi interni, ha ritenuto opportuno ribadire come l’espansione NATO verso l’Europa Orientale, vissuta come causa di una sindrome da accerchiamento, rappresenti una delle più preoccupanti minacce alla sua sicurezza, ulteriore elemento che ha persuaso Putin a non far concedere alcun appoggio logistico agli americani in area centro asiatica dopo il ritiro da Kabul. Del resto la Russia, che teme un esodo incontrollato e foriero di istanze terroristiche, non ha forze sufficienti per sospingere una strategia indipendente da applicare in Afghanistan, e deve accettare il vaglio sino pakistano, con un occhio a India, Iran e Turchia.

È opportuno considerare che le dinamiche internazionali sono caratterizzate da un multipolarismo aggressivo, magari da un bipolarismo proiettato nel futuro, ma certamente con una conflittualità continua e multiforme che genera una forma di pace fredda, con la Cina che rappresenta una novità tale da richiedere inedite strategie transatlantiche.

Se è vero che la NATO ha stigmatizzato un trend russo che ha evidenziato un costante attentato alla sicurezza della regione euro atlantica ed alla stabilità dei confini, è altrettanto vero che Mosca ha più volte denunciato assertività occidentali tali da far percepire un progressivo assottigliamento della striscia di sicurezza nell’Europa centrale. L’armamentario è il solito: rafforzamento militare multisettoriale, capacità militari innovative, diversificazione dell’arsenale nucleare, attività provocatorie3, incluse esercitazioni senza preavviso vicino ai confini dell’Alleanza, senza contare il rafforzamento dello schieramento in Crimea, vendita di armamenti4, ripetute violazioni dello spazio areo sul Baltico ed attività ibride esperite tramite proxy anche via cyber con latenti campagne di disinformazione ed attività informatiche nocive.

A differenza della precedente Amministrazione, anche il presidente Biden ha preso una posizione apparentemente netta, definendo poco diplomaticamente un killer il presidente russo, ed intendendo con questo rassicurare i titubanti alleati europei; opera questa certamente non agevole, vista la fallimentare spedizione afghana che ha indotto la Russia, timorosa di una destabilizzazione nel proprio cortile, ad associarsi alle iniziative del Grande Timoniere di Pechino5 nel trattare con la dirigenza taliban.

Agli americani l’onere di sorbire l’amaro del Donbass e buttare giù l’indigesto boccone del Nord Stream 2. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg ha voluto sottolineare come “Una Nato forte sia un bene per l'Europa e per l'America”, aggiungendo che gli attuali rapporti con la Russia, dalla fine della Guerra Fredda, sono da tuttavia considerarsi ai minimi termini, e tali rimarranno fino a quando non si tornerà al business as usual concordato a suo tempo con Mosca che, tuttavia, continua a percepirsi come partner non alla pari.

Al momento la Cina non ha sostituito la Russia come minaccia numero uno; fino a quando la narrativa americana ed atlantica rappresenteranno Orso e Dragone come un unico blocco, politicamente ciascun attore potrà sentirsi accontentato. La Nato, quindi, presumibilmente risponderà al deterioramento del contesto securitario a difesa sia degli Stati più recentemente entrati nell’Alleanza sia di quelli che ambiscono strategicamente ad accedervi, implementando la sua deterrenza, non escludendo la presenza avanzata nella porzione orientale dell’Europa per contrastare posture aggressive finalizzate a forme di intimidazione strategica. Un intento razionalmente comprensibile, ma difficilmente digeribile da parte di chi, sgretolato per la seconda volta un impero, si è imposto l’obiettivo di riconquistarlo o, quanto meno, di continuare a preservare una security belt, una cintura la cui importanza prescinde da qualsiasi requisito di trasparenza.

A margine della responsabile ufficialità atlantica, un’indispensabile considerazione riguarda il ruolo del multilateralismo politico americano per il quale NATO e UE assurgono all’indispensabile ruolo di elementi necessari al mantenimento globale dell’equilibrio di potenza di Washington, malgrado il caso del Nord Stream 2 abbia dimostrato come per gli egemoni europei non sia sempre possibile accantonare collaborazioni ed interessi economici con partner come Cina o Russia, come l’affaire energetico e del trasporto di gas dall’est insegna.

Ma le tendenze irreversibili appartengono anche alla Russia e dunque l’annuncio del ministro degli esteri Lavrov circa la sospensione dei lavori della missione permanente russa presso l’HQ della Nato a Bruxelles, non può lasciare più di tanto sorpresi, specialmente se conseguente alla revoca dell’accreditamento di otto dipendenti della missione istituita presso l’Alleanza, perché accusati di spionaggio. Del resto gli affaire Skripal6 con il novichok7, e prima ancora quello Litvinenko con il polonio, insegnano come la Russia continui a privilegiare il criterio della reciprocità.

La scelta strategica della NATO si indirizza dunque nel promuovere l’integrazione europea e nel valutare se, e come, influenzare il trend politico militare russo, migliorando la comprensione delle vulnerabilità occidentali grazie ad una valutazione di quali paesi siano più sensibili a forme di coercizione economica, politica e militare russa. Ovviamente questo non deve precludere la comprensione di ciò che costituisce un deterrente alle concrete minacce che membri e partner NATO devono affrontare.

Attualmente sembra plausibile che, almeno parzialmente, il Cremlino cerchi di indurre l’Occidente ad uno scontro capace di dimostrare uno status egemonico, direttamente in opposizione alla NATO; potrebbe forse essere opportuno cominciare ad evitare di considerare la Russia in termini incongruenti ed a somma zero, considerando una coesistenza basata su una rivalità competitiva e sistemica e non necessariamente sul conflitto, su un confronto non solo militare ma ideologico che porti a considerare gli aspetti commerciali quali elementi strategici e che consentano comunque cooperazioni mirate che non mettano tuttavia a rischio le emerging and disruptive technologies, come l’intelligenza artificiale, che rimangono un’opportunità irripetibile per la NATO ed alla mercé (purtroppo) delle insidie di Pechino.

Ma qui parlare di NATO equivale a parlare di una grande società, con degli azionisti; la minoranza frammentata, l'Europa, non possiede capacità militari integrate e di fatto sta continuando a demandare all’Alleanza l’incombenza della sua difesa, affidandosi al socio americano di maggioranza.

In un contesto che vede un costante affievolimento delle capacità militari, l’Europa corre il rischio di diventare una sorta di soft power della NATO, un potere fatto di politica, mobilitazioni di piazza, ma non di azioni cinetiche: la paradossalità di un’alleanza militare senza esercito.

Ma la NATO serve ancora agli USA, detentori con la Russia dei più nutriti arsenali nucleari?

Il problema non è l’Alleanza in sé, piuttosto lo è il rapporto difensivo tra Europa e Stati Uniti, basato su una minaccia che, dalla caduta dell’URSS, andrebbe rimodulata ed aggiornata, anche alla luce degli esempi portati dalla vicenda siriana, dove gli USA hanno dimostrato disponibilità all’impiego della sola forza aerea ricordando a tutti che il punto focale dei loro interessi si è spostato nel Mar Cinese Meridionale. Rimangono allora le attività asimmetriche di sempre, ovvero spionaggio ed azioni coperte, che hanno lasciato il loro segno bruciante in più di una sede occidentale, ma che hanno intrappolato la Russia nella sua stessa retorica passata, costringendola ad azioni prevedibili e reciproche.

In conclusione, tenendo per il momento da parte retoriche in stile guerra fredda, rimane da comprendere esattamente l’intento politico sotteso alla decisione della NATO, anche perché se si adottassero stretti principi euristici, molto probabilmente gran parte degli uffici culturali delle ambasciate sarebbero già stati chiusi.

Un’ipotesi potrebbe condurre a ritenere l’atto quale avviso ad alleati europei che, per effetto dell’applicazione di un concetto di sovranità a geometria variabile a seconda del momento (tedeschi e francesi insegnano), ora devono essere richiamati ad una disciplina di scuderia che non contempla facili rapporti diretti con Mosca e per cui gli USA non intendono lasciare canali accessibili.

Ora il cerino acceso è in mano al Cremlino che deve trovare strade alternative con controparti europee che non hanno modo di gestire d'emblée un rapporto pressato dagli interessi dall’est e dalla fedeltà dall’ovest; un problema che non può prevedere soluzioni bilaterali politiche perché basate su rapporti dichiarati decaduti dal famoso azionista di maggioranza.

Posto che la Cina è considerata dossier a parte e non facente parte di un asse, è evidente che gli americani hanno ritenuto la mossa foriera di rischi accettabili per loro, ma senza tenere in alcuna considerazione i rischi ricadenti sugli alleati, specie sui francesi, già scottati dall’accordo AUKUS. Novità in questo? Nessuna. Vie d’uscita? Nessuna.

L’egemone è tale perché ha la forza per comandare, e l’unica politica perseguibile è quella che impone di puntare sul cavallo vincente, che fa guadagnare di meno ma permette di non rimanere con le tasche vuote; anche perché, in fondo, nel caso ipotetico di una nuova alleanza, chi mai potrebbe garantire da parte dell’egemone di turno, un trattamento diverso? Impossibile: verrebbe meno il ruolo egemonico rivestito. Stando alle cronache, quale folle scommetterebbe, per esempio, su una gratuita benevolenza galloteutonica? Pensateci un attimo, e palpate per sicurezza le vostre tasche. Potrà non piacere, ma sentire qualche moneta è sicuramente più rassicurante che stringere il famoso e bruciante cerino consunto.

1 Repubblica Ceca

2 Da ricordare l’incidente diplomatico occorso il 23 giugno scorso, quando il cacciatorpediniere HMS Defender, partito da Odessa nell’Ucraina meridionale verso la Georgia, è passato per le acque territoriali della Crimea, suscitando le ire della Russia, che ha inviato guardia costiera ed aerei militari per costringere l’Unità a cambiare rotta. Oltre ad avvisi e minacce verbali via radio, i russi hanno anche sparato alcuni colpi di avvertimento a debita distanza. I britannici hanno risposto che avrebbero continuato nella loro condotta poiché rientrante nell’ambito del diritto internazionale. Successivamente l’Unità olandese HNLMS Evertsen ha accusato la Russia di aver creato situazioni pericolose con il passaggio minaccioso di vari aerei da guerra in prossimità dell’unità e al largo della Crimea. Secondo Mosca il passaggio della HMS Defender è stata una provocazione britannica

3 La Russia crea nuove sfide, se si considera lo sviluppo di basi permanenti in Siria, Libia e Sudan e il suo coinvolgimento nella difesa missilistica della Turchia. Queste implicazioni vanno ben oltre il bacino del Mediterraneo vero e proprio e riguardano anche Mar Nero, Europa occidentale ed Africa.

4 Con gli S 400 alla Turchia la Russia si è introdotta all’interno di una delle forze aeree della NATO, determinando la necessità di calibrare l'intero inventario aeronautico turco, rendendo difficile la manutenzione degli apparati prodotti negli USA e permettendo l’accesso di personale russo. La Russia ha poi di fatto impedito il dispiegamento di missili Patriot sul suo fianco meridionale. Con il mancato arrivo degli F35 si è ridotto il possibile dispiegamento di caccia stealth NATO nel Mar Nero e nel Mediterraneo orientale. 

5 Sostanziale il riconoscimento russo del diritto di Pechino a Taiwan, che prelude al conseguente riconoscimento cinese del possesso della Crimea

6 Da ricordare che a Londra Scotland Yard ha incriminato un terzo ex agente del Gru per il tentato omicidio di Skripal. Denis Sergeev, sotto copertura Sergey Fedotov, faceva parte dell'unità 29155, legata all'esplosione in Repubblica ceca.

7 Agente nervino

Foto: NATO / U.S. Army / Cremlino / State Council of the People’s Republic of China