La votazione all’Assemblea dell’ONU della mozione di condanna dell’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina ha permesso di attirare l’attenzione su un’area asiatica talvolta poco considerata sotto il profilo geopolitico, nonostante rappresenti un’importante “fetta” di quel continente, sia sotto il profilo demografico sia sotto il profilo industriale e militare. L’India, infatti, lo scorso 3 marzo si è astenuta sulla mozione di condanna dell’aggressione russa all’Ucraina e ciò ha fatto sorgere, in alcuni osservatori, dubbi circa l’effettiva terzietà di quel paese. Tuttavia, va sottolineato che l’astensione non ha avuto il significato di appoggio all’iniziativa di Putin, ma ha manifestato il proprio appoggio indiretto alla mozione. È con questa chiave di lettura che vanno interpretati i voti in ambito Nazioni Unite, tant’è che si sono astenuti anche Pakistan, Cina e quasi tutti i Paesi del centro-Asia. Per comprendere il significato concreto di tale voto basti pensare agli Stati Uniti e a Israele che, dopo 50 anni di voto contrario alla revoca dell’embargo verso Cuba, il primo novembre 2016 si sono astenuti e hanno consentito all’ONU di revocare la misura. Un’astensione che all’epoca è stata accompagnata dall’applauso dell’Assemblea Generale.
A dispetto di una narrazione che vorrebbe l’India come tecnologicamente arretrata e sottosviluppata, il paese oggi si presenta in modo piuttosto diverso da come si presentava trenta o quaranta anni fa. Non vi è dubbio che sussistano estese aree di povertà estrema e di arretratezza sociale, ma il secondo paese al mondo per popolazione ha ereditato dal passato problemi che richiedono tempo e pazienza per essere risolti.
Dopo secoli di relativo isolamento e di dominazione coloniale, la crescita economica degli ultimi anni ha poi portato Nuova Delhi a far sentire sempre più spesso la propria voce in ambito internazionale, per effetto anche di una cinica conduzione politica e di una lettura talvolta distorta e molto personale delle norme internazionali. Ciò ha portato, per esempio, l’Italia ad avere relazioni discontinue con quel paese, il cui momento più significativo è rappresentato dal viaggio del presidente Ciampi nel febbraio 2005, accompagnato da una delegazione di ministri e operatori economicii, mentre il momento di maggiore contrasto ha portato i due paesi a confrontarsi sia sul piano giuridico che sul piano diplomatico sul caso dei nostri due sottufficiali del reggimento San Marco. Un evento che, a parere di molti, è stato gestito in maniera cinica e opportunistica dagli indiani ed eufemisticamente in maniera insoddisfacente dall’allora Governo “tecnico” Monti.
Gli ultimi anni
Ottenuta l’indipendenza dal Regno Unito (Indian Indipendence Act, entrato in vigore il 15 agosto 1947), fino al 1991 l’India si è presentata sulla scena internazionale come un paese strettamente collegato all’Unione Sovietica da un Trattato di amicizia e di collaborazione militare (i russi sono stati i primi a concedere le licenze di costruzione), con un’economia certamente non liberale ma con un sistema politico abbastanza democratico. All’epoca il paese basava la propria postura internazionale sulla non aggressività e il non intervento. Una necessità dovuta alla forte fragilità interna, che vedeva il 75% della popolazione sotto la soglia di povertà, un boom demografico già allora molto pronunciato e il 45% di analfabetismo.
Dopo la fine della Guerra Fredda, tuttavia, l’India ha gradualmente cominciato a riorientarsi verso l’Occidente e, dopo l’11 settembre, la comunità internazionale ha assistito a un suo deciso avvicinamento agli Stati Uniti, sancito dal viaggio dell’allora presidente Bush nel marzo 2006.
Da allora è stato un crescendo di scambi economici e di relazioni diplomatiche, favoriti sia dalle grandi potenzialità del paese asiatico sia dalla crescita delle lobby indiane negli USA. Una crescita che non è stata solo conseguenza del generale progresso politico-economico indiano, ma anche della nutrita presenza di emigrati indiani istruiti in alcuni settori fondamentali dell’economia statunitense. Secondo alcune stime, circa il 20% degli ingegneri della Microsoft e della NASA sarebbe, infatti, di origine indiana.
Parallelamente, in Pakistan si è registrato un crescente antiamericanismo, che ha raggiunto livelli molto pronunciati, e una progressiva diffusione delle idee correlate all’estremismo religioso di matrice islamica e relative azioni violente, cui Islamabad sembra non contrapporre idonee misure di lotta o contenimento.
Tutto ciò, e il fatto che Nuova Delhi ha una marcata postura anti-cinese e una posizione geografica che ne fanno un alleato esemplare per Washington nell’area, ha permesso che l’India si sia sostituita, in un certo senso, al Pakistan (suo rivale storico) nella partnership con gli USA.
Il quadro geopolitico di riferimento
Nel subcontinente indiano sono presenti significative criticità, solo in parte dovute alla storia di questa parte di mondo. Le differenze religiose, gli squilibri economici e sociali, le diverse visioni politiche, le diverse potenzialità economiche hanno fatto di quest’area un bacino d’instabilità. Ciò comporta una certa preoccupazione per quanto riguarda la sicurezza e l’ordine dei paesi compresi nell’area, anche considerando che due di questi, India e Pakistan, sono dotati di armamento nucleare, e che ai loro confini è presente il gigante cinese, altra potenza nucleare.
Per effetto delle diverse dinamiche internazionali l’India si trova oggi al centro di due grandi direttrici di competizione geopolitica. Il primo va dall’Afghanistan e dal Pakistan fino all’Indocinaii. L’altro è quello del teatro Indo-Pacifico.
Per quanto attiene alla prima, dall’inizio di questo secolo abbiamo assistito a innumerevoli conflitti, attriti internazionali, cambi di alleanze, ribaltamenti dei governi, proliferazione di estremismi religiosi e irrigidimenti di questioni nazionali e religiose. Uno scenario che fa da sfondo alla competizione tra Pakistan e India, e tra questa e la Cina.
Alla relativa stabilità indiana, che rappresenta un fattore di equilibrio nell’ambito non soltanto del subcontinente indiano, si contrappone una significativa fragilità pakistana, che crea problemi sempre più consistenti, dato che alcune parti del paese subiscono sempre più l’attrattiva dell’estremismo religioso e/o sono sotto il completo controllo di tribù locali e in pressoché totale assenza di autorità di governo. Da non sottacere, inoltre, la permanente questione che riguarda il Kashmir che, se al momento non appare essere avvertita con particolare intensità, in passato ha causato ben tre guerre tra i due paesi (1948, 1965 e 1971).
A ciò va aggiunta una guerra (1962) e numerose scaramucce con la Cina, per questioni di delimitazione delle rispettive frontiere, strettamente correlate all’accesso alle risorse di acqua. Una competizione non solo militare territoriale ma anche economica e commerciale.
In tale quadro si inserisce il discorso del confronto tra India e Cina nel Mediterraneo. Ambo i paesi, infatti, considerano il Mediterraneo una conveniente piattaforma logistica per la penetrazione commerciale del Vecchio Continente. Un trampolino che ultimamente sembrerebbe più attraente, in prospettiva, degli scali di Amburgo e di Rotterdam. Un mare, quindi, che con un adeguato ammodernamento delle infrastrutture portuali potrebbe diventare uno snodo importante del commercio mondiale. In tale ottica, la possibilità di offrire servizi, infrastrutture, porti e corridoi marittimi in grado di accogliere i grandi portacontainers potrebbe fare la differenza.
L’accesa rivalità regionale vede i due paesi competere anche nel supportare gli altri paesi del sud-est asiatico. Un esempio evidente è stato il caso dei danni provocati dallo tsunami nel dicembre 2004 quando, nonostante gli ingenti danni subiti, Nuova Delhi ha insistito per essere paese fornitore di aiuti agli altri paesi danneggiati. Nell’occasione anche la Cina ha approfittato dell’evento catastrofico per rivendicare la propria posizione internazionale.
Per effetto di questi contrasti, che a volte sfociano in combattimenti localizzati, l’India si trova “chiusa” verso nord e verso ovest.
A quanto finora detto si aggiungono gli interrogativi circa il futuro dei suoi storici legami (specialmente sotto il profilo delle forniture di armamenti) con la Russia, ormai sempre più vicina alla Cina, come detto competitor territoriale dell’India. Tutti motivi che hanno portato Nuova Delhi a cercare di sviluppare la sua politica continentale attraverso relazioni più strette con i paesi centroasiatici, sia in chiave economica sia per costruire un’efficace cornice di sicurezza condivisa e inclusiva. In tale quadro va interpretato l’India-Central Asia Virtual Summit (foto), cui hanno partecipato i leader di India, Kazakhstan, Kyrghizistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan (27 gennaio 2022).
Il teatro dell’Indo-Pacifico è un’altra area di forte competizione geopolitica nella quale l’India è profondamente immersa. Un’area enorme che va dalle coste orientali africane al Golfo Persico, al sud-est asiatico fino alle coste occidentali del continente americano. Un’area che vede la circolazione di buona parte del commercio marittimo mondiale e che cela ancora enormi risorse in termini di pesce e di riserve di idrocarburi. Non a caso alcune aree marittime sono oggetto di aspre rivendicazioni “territoriali”, vista la loro importanza economica e geopolitica. (leggi articolo “Stabilità precaria nell’Indo-Pacifico”)
Per quanto sopra e alla luce degli sviluppi regionali degli ultimi decenni, l’India ha quindi deciso di abbandonare la tradizionale cauta postura nelle relazioni internazionali e la sua politica esclusivamente continentale per salpare verso l’Oceano Indiano, con l’intento di aprire nuove rotte commerciali e rafforzare il proprio ruolo internazionale.
La transizione da una strategia continentale a una strategia oceanica era, infatti, indispensabile in quanto l’area dell’Indo-Pacifico rappresenta un teatro strategico fondamentale, nel quale l’India ha la volontà di giocare un ruolo da protagonista.
In tale ambito era inevitabile un significativo avvicinamento agli Stati Uniti, che ha portato Nuova Delhi ad aderire al Quadrilateral Security Dialogue (QUAD), l’iniziativa strategica informale che vede aderenti, oltre a India e Stati Uniti, anche Giappone e Australia. Un’iniziativa che vede l’India partecipare sia in chiave di contenimento cinese sia per contrastare un percepito rafforzamento del Pakistan, che ha ultimamente accresciuto il livello di cooperazione con la Cina, concedendo anche l’uso di propri sorgitori alle unità navali di Pechino, e che ha trasformato la partnership con la Turchia e l’Azerbaijan in alleanza militare. Per quanto attiene al QUAD, inoltre, alcune correnti di pensiero a Nuova Delhi auspicano un ulteriore allargamento dell’iniziativa a Singapore, la cui importante Aeronautica Militare contribuirebbe alla deterrenza, e all’Oman, in un’ottica di espansione dell’area di influenza dalla Penisola Arabica al sud-est asiatico.
La flotta indiana
Proprio come conseguenza delle scelte e degli eventi degli ultimi decenni, l’approccio indiano al mare è cambiato radicalmente.
Nei primi cinquant’anni di indipendenza, infatti, le questioni territoriali erano considerate come le principali (e uniche) sfide alla sicurezza nazionale indiana. In un tale contesto, l’esercito era l’attore principale e riceveva la grande maggioranza dei finanziamenti.
L’approccio esclusivamente territoriale della strategia di Nuova Delhi è dimostrato dall’Accordo di Simla (2 luglio 1972), concluso congiuntamente al Trattato di pace al termine della guerra del 1971 con il Pakistan, dove le questioni marittime sono state del tutto ignorate e sono stati discussi e concordati solo argomenti territoriali.
Unitamente al riorientamento in senso marittimo della strategia nazionale sono stati ovviamente necessari anche significativi aggiustamenti circa l’allocazione delle risorse da destinare allo strumento militare fino ad allora, come detto, prevalentemente territoriale. Oggi l’India destina alle Forze Armate il 2,15% del PIL, pari a circa 72,9 miliardi di dollari. Una cifra significativa, se calcoliamo che il bilancio Difesa della Russia, prima della guerra, era pari a 61,7 miliardi. Certo, piuttosto lontana da Stati Uniti e Cina, ma comunque piuttosto rilevante. In tale ambito la Marina riceve il 14% del budget, in attesa di un auspicato ridimensionamento dell’Esercito che, avendo più di 1.200.000 soldati, riceve ancora il 61% delle risorse.
Ciò nonostante, l’India può vantare la settima flotta militare al mondo per tonnellaggio, dietro le flotte americana, cinese, russa, britannica, giapponese e francese. Una flotta che appare già oggi dimensionata per eventuali conflitti convenzionali a bassa intensità e per la dissuasione nucleare.
La strategia marittima indiana è stata scritta e rivisitata numerose volte negli ultimi anni, per adattarsi alla mutevole situazione geopolitica e agli obiettivi che di volta in volta emergono dal panorama geopolitico dell’area. Si tratta di un’esigenza pressante anche perché da qualche anno nell’Oceano Indiano sono ormai sempre presenti almeno otto navi da guerra cinesi alla volta (in un’occasione ce n’erano di pattuglia addirittura quattrodici), ufficialmente per operazioni antipirateria. Una presenza che preoccupa Nuova Delhi, che ha denunciato anche un atteggiamento sempre più aggressivo da parte degli equipaggi cinesi.
Il naturale teatro operativo della Bhartiya Nāu Senā (la Marina militare indiana) è rappresentato dai 74 milioni di kmq dell’Oceano Indiano e dai suoi approcci naturali (e passaggi obbligatori per le rotte commerciali) come lo Stretto di Malacca, Lombok, Sonda, Buona Speranza, Ormuz, Bab el-Mandeb, Suez, con un’attenzione particolare alle questioni del Mar Cinese Meridionale.
La flotta è strutturata in due comandi basati a Mumbai (fino al 1995 conosciuta come Bombay) e a Visakhapatnam. È operativa anche una terza base navale importante a Karwar, circa 100 km a sud di Goa, per la portaerei Vikramaditya, una portaerei classe “Kiev” modificata, dismessa dalla Voenno-morskoj flot nel 1996 ed entrata in servizio nella Marina indiana nel 2013. L’altra portaerei è il Vikrant che, una volta in servizio (2023), sarà basata a Visakhapatnam. Il Vikrant imbarcherà una ventina di caccia MIG-29, che verranno gradualmente sostituiti da eventuali caccia nazionali e da caccia di costruzione estera, probabilmente Rafale francesi (versione navale). Si tratta della prima portaerei (STOBARiii da 40.000 t di dislocamento) interamente costruita in India, segno della volontà di raggiungere anche un’autonomia nel settore. È in programma la costruzione di un’altra portaerei CATOBARiv da 65.000 t di dislocamento, il Vishal, che imbarcherà anche droni, e dovrebbe essere consegnata nel 2035, data in cui il Vikramaditya verrà radiato.
In sostanza, il “cuore” del concetto operativo della Marina indiana e delle sue capacità di proiezione navale è rappresentato dal gruppo tattico portaereiv. (leggi articolo “L’importanza delle portaerei in una Marina moderna”)
Anche la flotta aerea della Marina evidenzia la dualità indiana circa l’approvvigionamento degli armamenti, presentando elicotteri di costruzione russa e americana, insieme a pattugliatori marittimi P-8 Orion statunitensi e Ilyushin Il-38 russi.
Il Comando dei sottomarini si trova sempre a Visakhapatnam, mentre il Comando responsabile dell’addestramento si trova a Kochi, dove peraltro ci sono importanti cantieri navali. Nel 2021 è stato deciso di “spingere” per l’acquisizione di un certo numero di sottomarini, rallentando leggermente la costruzione della terza portaerei, in modo da cercare di colmare il divario quantitativo con la flotta subacquea cinese. Al momento, infatti, l’India può contare “solo” su due sottomarini nucleari lanciamissili balistici (SSBN) e 16 convenzionali (diesel), contro i sei SSBN, i 14 nucleari d’attacco (SSN) e i 59 convenzionali di Pechino. Nuova Delhi ambisce, infatti, a disporre quanto prima di forze subacquee strategiche, per una dissuasione nucleare credibile.
In tale ambito, l’India ha programmato di poter disporre di cinque SSBN entro il 2030 e successivamente di sette. A questi si aggiungono ulteriori 24 sottomarini convenzionali, approvati nel 1999, dei quali il primo è stato consegnato nel dicembre 2017 (classe “Kalvari”) e l’ultimo dovrebbe essere consegnato nel 2032. Anche in questo caso Nuova Delhi ha pianificato di mantenere due filiere di costruzione, occidentale e russa.
Il rafforzamento della flotta subacquea è peraltro una necessità anche in chiave anti-Pakistan che “…nell’estate del 2016 ha annunciato che avrebbe speso cinque miliardi di dollari per l’acquisto di otto sommergibili d’attacco a propulsione diesel-elettrica dalla Cina…”vi.
Allo scopo di monitorare l’attività dei sottomarini cinesi di passaggio nel 2020 l’India ha, inoltre, provveduto alla stesura di una rete di idrofoni e di rilevatori di anomalie magnetiche lunga circa 2.300 km, tra l’isola di Sumatra e l’arcipelago delle isole Andamane-Nicobare. La catena, una versione più moderna di quella impiegata durante la Guerra Fredda per la rilevazione dei movimenti dei sottomarini russi, verrà impiegata anche dai velivoli ASW per la localizzazione tramite triangolazione.
Conclusioni
Abbiamo visto come l’India sia profondamente immersa in un’area che presenta notevoli criticità. Tuttavia, il paese finora non ha mai rappresentato una minaccia per il mondo occidentale. Alcuni analisti indicano che tale potrebbe essere una scelta derivante dalla religione prevalente. L’induismo, infatti, non ha nessuna volontà né necessità di proselitismo. Non è, infatti, una religione espansiva, non c’è necessità di convertire il prossimo. Si tratta di una religione molto personale, una sorta di cammino verso il perfezionamento interiore.
Il paese, inoltre, ha dimostrato che non ha un mercato aggressivo verso l’esterno, ma che si è sviluppato per soddisfare prima di tutto le esigenze locali, per provvedere all’arricchimento della nazione nel suo complesso. Non indirizzato, quindi, solo alle grandi città, ma anche verso le regioni nord e sud indiane, verso i grandi bacini del Gange e dell’Indo, che devono ancora essere adeguatamente sviluppati e attrezzati. Poi, in maniera naturale, per così dire, è progredito verso un mercato di esportazione.
Il punto, però, è che essendo quasi un miliardo e mezzo di anime, esiste la necessità di risorse e di prodotti di consumo. Se gli indiani sono relativamente propensi a seguire determinate visioni o concetti di vita, sono anche molto lontani dall’assumere posizioni troppo determinate o incondizionate. Un approccio che li porta generalmente ad assumere un atteggiamento che presenta un certo coefficiente di elasticità nelle questioni internazionali.
Sempre più i mari e sempre più i commerci marittimi sono fondamentali nelle relazioni internazionali e per garantire il benessere delle popolazioni. Le rotte marittime dell’Indo-Pacifico e, in particolare, nel sud-est asiatico e Oceano Indiano, sotto questo punto di vista stanno acquisendo sempre maggiore importanza. Da lì passano gran parte dei commerci mondiali provenienti da Taiwan, dal Giappone, dalla Corea del sud, dalla Cina. Sono rotte difficili da controllare ma sono fondamentali per il nostro benessere e l’India, al momento, sembra essersi schierata a favore della stabilità e della libertà della navigazione.
Rimane il fatto che, stante l’attuale progresso politico-economico, alcuni analisti indicano che nell’arco di qualche decennio l’India potrebbe diventare la terza o quarta potenza mondiale e già oggi l’India rivendica un proprio status di potenza internazionale.
Sul futuro di questa immensa area marittima oggi è molto difficile azzardare delle previsioni sensate dato che si alternano sistematicamente e continuamente segnali di avvicinamento e di contrasto. Una cosa, però, è possibile ragionevolmente ipotizzare: nei prossimi decenni l’India giocherà un ruolo strategico fondamentale negli equilibri internazionali, in particolare tra Cina e USA, e la sua flotta sarà in grado di recitare una parte importante sul palcoscenico dell’Indo-Pacifico e (forse) anche oltre.
Starà all’India decidere come giocare questo suo ruolo globale attenuando, al contempo, i suoi problemi interni.
i Nell’occasione sono stati sottoscritti ben 15 accordi relativi a vari ambiti: dalla cooperazione scientifica e tecnologica allo sviluppo degli audiovisivi, alla pesca, tecnologia, design, università, ecc..
ii La penisola indocinese comprende Birmania, Cambogia, Laos, Thailandia, Vietnam e Malesia peninsulare
iiiShort Take-Off But Arrested Recovery, in italiano decollo corto e arresto assistito (con cavi)
iv Con catapulta e cavi di arresto.
v Venkaiah Naidu, Vice-presidente indiano in un suo intervento del novembre 2021
vi Peter Frankopan, Le nuove vie della seta, Mondadori, 2019, pag. 104
Foto: Indian Navy / Quirinale / U.S. Embassy New Delhi / Xinhua / Vishal Dutta / web