Gianni Oliva: I paracadutisti italiani a El Alamein

Gianni Oliva
Ed. LEG, Gorizia 2022
pagg.128

Alla battaglia di El Alamein, combattuta tra il 23 ottobre e il 6 novembre 1942, l’autore dedica questo saggio, consapevole che di essa “si è sempre parlato poco e con disagio” perché “associata al combattentismo fascista e all’arditismo esaltato dei paracadutisti della divisione Folgore”. Ben diversa, invece, la memoria associata agli alpini coinvolti nella campagna di Russia, “assurta a simbolo del prezzo pagato da un’intera generazione all’avventurismo del regime, veicolata nell’immaginario collettivo da romanzi di grande fortuna editoriale”. Paracadutisti e alpini sono, comunque, “protagonisti e vittime di quella stessa stagione ed entrambi hanno affrontato la morte per seguire la voce dell’onore, della lealtà, del dovere”.

Addestrati alla scuola di Tarquinia, i paracadutisti si renderanno subito conto “che la guerra declamata nei sussidiari e trasfigurata nei Giochi del Littorio diventa l’inferno senza gloria di El Alamein. I paracadute sono solo bagaglio al seguito, destinati ad andare perduti al primo scontro sfortunato. Nessuno parla più di lanci”. Ed è proprio a Tarquinia che, nell’estate del 1942, dall’unione dei tre reggimenti paracadutisti, nasce la divisione “Folgore”, avente come padri culturali la Legione straniera e l’arditismo della Grande Guerra.

Il primo impiego della Folgore avviene durante la campagna di Grecia, a Cefalonia, un’impresa modesta che, però, è presentata, mediaticamente, come “una vittoria del coraggio e dell’ardimento, dove la potenza delle armi e delle macchine viene assoggettata alla volontà del combattente”. Nell’estate del 1942 viene deciso di impiegare i paracadutisti in Africa settentrionale. Al comando del maresciallo Graziani, che tenta di convincere Mussolini sull’impossibilità di condurre un’offensiva degna di questo nome, 220.000 uomini, il 9 settembre, danno inizio all’impresa con la conquista di Sidi el-Barrani, un villaggio egiziano che gli inglesi, in effetti, hanno rinunciato a difendere preferendo una ritirata tattica. All’alba del 9 dicembre scatta il contrattacco degli inglesi, dotati di mezzi corazzati di qualità superiore rispetto a quelli italiani. Graziani scrive a Mussolini “dichiarando di essere nelle condizioni di un capitano che comanda una nave in procinto di affondare perché presenta falle da ogni parte”.

Il 7 febbraio, con la caduta di Bengasi, la riconquista inglese è ultimata. “Fu la peggiore delle sconfitte italiane, per di più ampiamente mediatizzata”. Su sua richiesta, Graziani verrà sostituito. A prendere il suo posto sarà il generale Gariboldi.

La Germania, decisa a dare, in Africa, manforte all’Italia, gioca la carta Rommel, che giungerà in Libia il 15 febbraio e che, il 30 marzo, inizierà il contrattacco, riconquistando Bengasi e Bardia. Gli inglesi perderanno “tutto ciò che avevano conquistato due mesi prima e l’Asse ha recuperato la linea di confine, con la sola eccezione di Tobruk”, che verrà conquistata il 21 giugno. Il 23 giugno arriva, da Hitler, il via libera per l’avanzata in Egitto, alla volta di Alessandria e del Cairo che, però, dovrà avvenire “con le forze disponibili sul campo, senza contare sull’arrivo di rinforzi dalla Germania perché per Hitler l’obiettivo primario resta il fronte russo”.

Il bastione di El Alamein è l’ultimo ostacolo all’occupazione del Cairo e di Alessandria. Le truppe di Rommel, però sono “ormai stremate, a ranghi ridotti e prive di riserve”. Egli, comunque, per ben tre volte tenta l’assalto, ma fallisce, attribuendo “l’insuccesso all’incapacità degli Italiani di garantire i rifornimenti via mare, alla mancanza di carburante e pezzi di ricambio, alla facilità con cui i nemici intercettano e affondano i convogli nel Mediterraneo”. Per compensare le perdite, vengono inviate, sia dalla Germania che dall’Italia, dei rinforzi. L’Italia decide, così, di trasferire in Africa, a partire da metà luglio, la divisione “Folgore”.

“A fine agosto, le postazioni della Folgore, vengono visitate direttamente da Rommel e da Kesselring, che si congratulano direttamente con il generale Frattini per l’efficienza della sua unità”. Nel frattempo, Rommel, consapevole “che le sue forze si trovano in una situazione tattica e strategica sfavorevole”, propende per un ripiegamento ma, sia il Comando Supremo italiano che il generale Kesselring non sono favorevoli a questa ipotesi. Gli inglesi, al comando del generale Montgomery, stanno preparando l’attacco, che avverrà alle ore 21.00 del 23 ottobre e che incontrerà, però, una resistenza italo-tedesca che ritarderà i piani dell’offensiva inglese. “Un susseguirsi di sforzi, di variazioni di direttrici, di tiri di artiglieria, di esplosioni trasformano El Alamein in un inferno dominato dal fuoco e dall’odore di nafta, mentre il terreno si riempie di corpi dilaniati”.

La difesa a oltranza da parte dei paracadutisti della Folgore fa nascere “in quelle ore il mito del combattente paracadutista, pronto a battersi con ogni mezzo”. La battaglia di El Alamein, quindi, “consacra nell’immaginario il mito dell’ardimento dei paracadutisti perché essi rappresentano la volontà strenua di battersi in un’atmosfera segnata invece dalla rassegnazione e dal presentimento della sconfitta”. Il 25 ottobre, al suo rientro al fronte da un periodo di convalescenza, Rommel si rende conto che l’unica soluzione è il ripiegamento. Ma, nel pomeriggio del 3 novembre, giunge, da Berlino, “l’ordine perentorio di mantenere a tutti i costi la linea del fronte e di resistere a oltranza”. All’alba del 4 novembre Montgomery sferra l’attacco decisivo.

Ai paracadutisti della Folgore, alle ore 14.00 “un autoblindo inglese con altoparlante offre la resa con l’onore delle armi, ma i paracadutisti rispondono “Folgore” e sparano”. Alle 14.00 del 6 novembre il colonnello Camosso decide di arrendersi: “con lui ci sono 304 superstiti dei 5.000 effettivi arrivati in luglio dall’Italia”.

Gianlorenzo Capano