A dieci giorni dall’ offensiva del governo centrale iracheno per la rioccupazione dell’importante città petrolifera di Kirkuk proseguono senza sosta le operazioni militari di Baghdad per riposizionarsi nei territori ancora controllati dalla Regione Autonoma del Kurdistan (KRG).
Nei giorni scorsi, ammassamenti di truppe e movimenti di mezzi lungo le principali rotabili si sono susseguiti in tutte le zone contese della regione.
Il 24 ottobre, i Peshmerga hanno respinto in località Mackmour, a sud est di Erbil, un secondo attacco di milizie popolari sciite (PMU) dopo quello, fortunato, sferrato dieci giorni prima per la riconquista di Kirkuk; nella stessa giornata, la stampa locale ha riportato ulteriori scontri nei pressi di Rabia, a nord ovest di Mosul.
Sempre ieri, la tv panaraba filo-iraniana al Mayadin ha riferito scontri armati ripresi nel nord-ovest dell'Iraq al confine con la Siria, tra forze curdo-irachene e forze lealiste di Baghdad (in gran parte milizie filo iraniane Hashd Shaabi); analoghi eventi si sarebbero verificati in alcune zone di confine con l'Iran e a Sinjiar, a sud est di Mosul, importante centro di cultura Yazida, dove combattenti delle unità di mobilitazione popolare (PMU) a maggioranza sciita avrebbero aperto il fuoco contro le forze curde.
Mentre scriviamo, stando alla testata curda RUDAW, la porzione di territorio “conteso” in mano ai curdi si è ridotta di circa il 40%; una tendenza che promette di continuare, vista la velocità con cui opera lo schieramento avversario che può contare su numerose unità regolari (ISF), forze speciali controterrorismo (CTS) e svariate milizie popolari in gran parte sciite, molte dei quali munite di equipaggiamenti, armi e mezzi di produzione USA (si hanno notizie non confermate di almeno una decina di tank M1 Abrams distrutti dai Peshmerga).
A fronte di questi sporadici focolai di confronto acceso, si ha però la chiara impressione che sia in atto tra le parti una trattativa per una rapida restituzione di terreno, finalizzata a riportare la situazione quo ante il 2003, anno della seconda guerra del Golfo e della destituzione di Saddam.
In tale quadro andrebbe collocato il passaggio di consegne tra curdi e iracheni, avvenuto presso la diga di Mosul senza colpo ferire la settimana scorsa.
Sono proprio le armi e gli equipaggiamenti USA utilizzati dalle forze lealiste di Baghdad ed il mancato appoggio di Washington alla causa indipendentista, a far gridare la leadership politica del KRG al “tradimento americano”; anche se ormai di "leadership" è sempre più difficile parlare.
Il vecchio Masoud Barzani ha perso quel poco di credibilità che aveva riguadagnato con il referendum del 25 settembre, chiuso come è nel cerchio magico della sua famiglia che monopolizza gran parte delle cariche politico-militari della regione.
La lontananza del suo partito, il PDK, dalle due principali forze di opposizione, PUK e GORRAN, ora è abissale, con ripetute richieste di dimissioni (e di elezioni) avanzate da più parti, anche se è di ieri la notizia del posticipo di 8 mesi delle elezioni amministrative del KRG (si sarebbero dovute tenere il 1 novembre prossimo).
La gravità della crisi politica in atto si legge anche nel primo “cedimento” del granitico fronte referendario, e prende la forma di una sostanziale disponibilità politica di Erbil a “congelare” il risultato uscito dalle urne a tutto vantaggio di un rinnovato dialogo con Baghdad, sulla base della Costituzione (richiesta che però è stata prontamente rispedita al mittente).
La volontà del premier Al Abadi di punire Barzani per l’iniziativa referendaria appare chiara e determinata, anche nella misura in cui comporti una dura lezione alla popolazione che ha sostenuto il referendum.
E ha anche una duplice valenza: sul piano dell’orgoglio nazionale, per il drastico ridimensionamento dei confini regionali in una forma che respinga in modo netto le istanze etniche che ne avevano motivato nel corso degli ultimi anni l’espansione; sul piano politico, considerata la strategia in atto, mirata a rovesciare l’attuale leadership curda e sgretolare al suo interno la coesione dei principali partiti, ora più che mai divisi fra loro.
Per contro, è interessante notare come la crisi politica e militare tra Baghdad ed il KRG non abbia in alcun modo condizionato il mantenimento dei rapporti economici e commerciali con i principali players regionali (business as usual).
Erbil, infatti, in tutto questo periodo ha continuato ad intessere con Mosca importanti relazioni economiche sfociate nella stipula di accordi e contratti di particolare rilievo.
Dopo l’accordo firmato a settembre, questa settimana, la Oil Company russa Rosneft ha consolidato la posizione di leadership nel campo dello sfruttamento petrolifero nella regione, assicurandosi il 60% del flusso di greggio della più importante pipeline del KRG e, continuando sempre a dialogare direttamente con Erbil, aggiudicandosi i diritti di sfruttamento di ulteriori 5 siti di estrazione.
Anche Baghdad si dà da fare per sfruttare al meglio le ingenti riserve di petrolio, le terze al mondo, e lo fa con un viaggio del premier (sciita) Al Abadi nella (sunnita) Arabia Saudita, volto a attivare nuove forme di collaborazione tra i due Stati, principali produttori del OPEC.
Nei prossimi mesi, sarà particolarmente interessante vedere come Baghdad saprà conciliare le relazioni con Riad con quelle, consuete, che la legano al potente vicino iraniano. E come Mosca reagirà allorquando, al termine di questa crisi, il premier Al Abadi avrà ripreso il pieno controllo della produzione petrolifera irachena, comprendendo quelle aree, come Kirkuk, in precedenza passate sotto il controllo di Erbil.
(foto: KRSC)